EUTANASIA LEGALE? PERCHÉ OPPORRE UN SECCO “NO” ALLA BATTAGLIA (IDEOLOGICA) DEI RADICALI

Non banalizziamo la morte. Spesso, nel confronto sull’eutanasia, manca il senso della pietas. Tentiamo, se possibile, di uscire dalla logica della semplificazione ideologica e cerchiamo di aiutare, per quanto possibile, chi soffre ed è più fragile, senza accanimenti o forzature.

 

Marco Giuliani

 

Non si tratta solo di una “cintura protettiva” a salvaguardia della vita, come citano alcuni stralci delle eccezioni mosse dalla Corte costituzionale durante i passaggi compiuti a fronte della proposta avanzata a testa bassa dai radicali sulla sospensione delle cure per i malati gravi. Il punto essenziale, in sostanza, è quello di responsabilizzare le coscienze per evitare che l’individuo in questione possa essere indotto da interferenze esterne a porre fine alla sua esistenza. In un caso o nell’altro, comunque, detti processi, se applicati, traballerebbero e farebbero acqua da tutte le parti. Vediamo perché.

 

In Italia, il mantenimento del patrimonio inestimabile della vita viene messo nuovamente in discussione dalla votazione effettuata presso la Camera il 10 marzo 2022 (233 si, 168 no e un astenuto), che di fatto consente, a margine di una serie di condizioni contemplate dalla legge, di decidere per sé stessi purché “consapevoli, volenti e in modo disciplinato”. Un’enormità. Le variabili condizionate di una disciplina che renda legale la prestazione dell’aiuto per favorire l’eutanasia (inutile girarci intorno, di questo si tratta), sta provocando confusione e una serie di pericoli a scapito delle persone più vulnerabili. Detta condizione dovrebbe infatti rendere immediatamente decifrabili una serie di aspetti discrezionali, ed eventualmente rimetterli nelle mani del legislatore, perché il processo di accompagnamento verso il passo estremo, per chi intenda intraprenderlo, avvenga legalmente. Ma è opportuno che un pezzo di carta pubblicato in gazzetta possa decidere delle sorti di un soggetto malato durante le cure?

 

La questione, letta e interpretata in modo elementare, è decisamente etica. E meno male che l’obiezione di coscienza resiste, perché altrimenti questa macchinazione avrebbe – nel caso – continuato a girare con i suoi ingranaggi contorti alimentando ancor più caos, se non altro riguardo al dibattito e alla sua applicazione in Italia, dove non sussistono affatto posizioni uniformi. Checché ne dicano i radicali, infatti, passa una grande differenza tra il procurare la morte e l’accettazione della stessa nella sua naturale (ed eventuale) espletazione. Colpisce, in tale contesto, la facilità con la quale vengono avanzate continue proposte di legge (abbinate a forme di disobbedienza civile tanto spettacolari quanto inopportune, vista la portata del tema) malgrado l’assoluta delicatezza dell’argomento in questione. A fronte delle diverse sensibilità mostrate, non è auspicata alcuna semplificazione che possa assumere connotazioni ideologiche, le quali sembrano, a dire il vero, minimizzare la questione per non affrontarla in modo realistico e con la dovuta cautela.

 

Quando Papa Bergoglio, sulla scia di quanto afferma da tempo Benedetto XVI, sostiene che indurre al fine vita una persona è come «aiutarla a fare un trasloco per condurlo precocemente all’ingresso del carro funebre» colpisce nel segno; mostra infatti una sottilissima, finissima teoria che appare come il frutto di una sintesi tra le diverse sensibilità delle comunità religiose (e non solo) presenti in Italia. Soprattutto, direi, di fronte al tessuto sociale in cui la popolazione, in particolare quella italiana, vive e opera. Allora tentiamo, se possibile, di uscire dalla logica della semplificazione ideologica e cerchiamo di aiutare, per quanto possibile, chi soffre ed è più fragile, senza accanimenti o forzature.

 

Benché legiferare freddamente per porre fine nel modo più spiccio al dolore altrui significa (anche) difettare del concetto di dignitas verso l’altrui condizione, riflettiamo quanto meno sul fatto che un ufficio o una commissione, se si tratta di decidere sulla vita di un individuo, debbano o meno avere un potere limitato. E malgrado si allarghi sempre più – neanche fosse una moda – il fronte dei paesi UE che autorizzano la legalità dell’eutanasia (uno degli ultimi è stata la Spagna, paese tradizionalmente cattolico), che si tenga conto almeno dei paletti per ora imposti. Tra l’altro, la discussione avente come oggetto la configurabilità del diritto per i malati di morire dignitosamente va a sbattere con la opacissima ammissibilità giuridica, che non espone – se non in termini di punibilità – in modo limpido una normativa sul concetto di eutanasia. Ciò fa riaffiorare di nuovo quella dottrina chiamata etica che specula (giustamente) sul comportamento pratico degli individui e sulle loro condotte in relazione a regole non scritte. Dare l’ok a un processo enorme che non va sottovalutato sotto ogni aspetto, infatti, richiede prudenza.

 

Mi si permetta una puntualizzazione conclusiva, che è assolutamente laica e slegata da pregiudizi di ordine moraleggiante: «Io sono a favore della vita, non della morte».