Evocare il Preambolo di Donat Cattin, a prescindere dalle divisioni di quaranta anni fa, significa pensare e costruire un nuovo progetto politico.

Il tema delle alleanze, come sosteneva Martinazzoli, è sempre stato centrale nella politica italiana. Tuttavia, prima delle alleanze bisognerebbe concorrere a costruire il centro. È un progetto che inseguiamo da molto tempo, ma che per adesso rimane un miraggio.

 

Ettore Bonalberti

 

Leggere la nota di Giorgio Merlo su “Il Domani d’Italia” del 19 Luglio titolata: “Adesso serve un nuovo preambolo”. Contro  i populismi”, mi fa tornare alla mente quella mattina del Febbraio 1980 a Roma,  attorno all’altare della chiesetta sconsacrata dell’ex Convento della Minerva, sul quale Carlo Donat Cattin scrisse di pugno con la sua stilografica quello che passerà alla storia politica italiana, come “il preambolo Donat Cattin”. Eravamo presenti: Sandro Fontana, Emerenzio Barbieri, Luciano Faraguti, Pino Leccisi, e il sottoscritto, ancora incerti sul risultato di quell’autentica sortita del capo, che avrebbe segnato la conclusione vittoriosa del XIV Congresso nazionale della DC per l’area che si opponeva all’alleanza con il PCI.

 

Quella conclusione permise la ripresa della collaborazione di governo col PSI, PSDI e PRI, garantendo alla DC più di dieci anni di guida del Paese. Essa segnò anche, però, la rottura dolorosissima della nostra corrente di Forze Nuove e con gli altri amici basisti e morotei, che, come giustamente ricorda Merlo, non si sarebbe più rimarginata e continua a influenzare molte delle scelte differenti tra le schegge sparse della diaspora democristiana, comprese le diverse sistemazioni dei molti personaggi sopravvissuti a destra e a sinistra delle attuali forze politiche.

 

Merlo propone di redigere un nuovo manifesto, un “preambolo politico anti populista per la salvaguardia e conservazione della nostra democrazia”. In sostanza, un preambolo in chiave anti M5S e anti Lega, con un chiaro riferimento critico alle scelte politiche indicate per il PD da Zingaretti prima e ora da Enrico Letta. È arduo proporre modelli di soluzioni politiche validi per tempi profondamente diversi, come quelli dell’Italia degli anni’80 con quelli attuali. Quando Donat Cattin propose il preambolo, al di là delle difficoltà interne al partito, superate con un’indicazione che non poteva non far breccia, come infatti accadde, nel corpo grosso doroteo moderato della DC, esistevano le condizioni politico parlamentari per un’alternativa al “governo della solidarietà nazionale”; alternativ che il PSI, il PSDI e il PRI seppero immediatamente cogliere, partecipando a una formula di governo che sopravvisse, tra alterne vicissitudini, sino al 1992.

 

Non nutro particolari simpatie per il movimento-partito degli ex “vaffa”, anche se stimo quanto il presidente Giuseppe Conte ha saputo realizzare, sia nella prima fase di lotta alla pandemia, che nell’azione condotta per il riconoscimento dell’UE delle risorse del Recovery fund. Una positiva azione che, mi auguro, Conte sappia continuare, ora che ha assunto la guida del M5S in condominio col garante Grillo. Sono, in ogni caso, interessato a comprendere le ragioni che hanno portato oltre il 32% degli elettori a garantire ai grillini nel 2018 la maggioranza relativa nell’attuale parlamento. Inesperienza, errori e nel clima di trasformismo parlamentare dominante, transumanze incomprensibili a destra e a sinistra, al di là del discredito accumulato dagli esponenti cinque stelle, non eliminano, infatti, le ragioni, le motivazioni dei voti a loro dati, da larga parte delle classi popolari e dei ceti medi produttivi. Ragioni e motivazioni, che non sono venute meno, ma, probabilmente si sono  aggravate sul piano sociale ed economico, dopo questo lungo periodo della  pandemia. Mi domando, allora: ipotizzare come fa l’amico Merlo, un manifesto sostanzialmente anti M5S, quale alternativa politica reale propone, se, come credo, ovviamente si esclude quella di un centro destra sempre più baldanzoso e a netta dominanza leghista dell’estrema meloniana?

 

Alla fine, il problema ritorna inevitabilmente agli orientamenti e alle scelte politiche di un centro da tutti noi auspicato, nel quale un ruolo decisivo dovrebbe essere assunto da esponenti dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Un centro, però, che sino a oggi, non sembra ancora in grado di decollare. È vero che il tema delle alleanze, come sosteneva Martinazzoli, è sempre stato centrale nella politica italiana, ma la questione rimane: prima delle alleanze bisognerebbe concorrere a costruirlo, il centro; un progetto che con altri amici, su diverse posizioni, inseguiamo da molto tempo, ma che sinora appare un miraggio.

 

Ho scritto più volte che partire dalle alleanze non facilita il perseguimento dell’obiettivo; prima ritroviamoci su un programma in grado di dare risposte alle attese del terzo stato produttivo e della povera gente, con proposte ispirate ai principi della dottrina sociale cristiana e all’economia sociale di mercato e dell’economia civile; riunifichiamo politicamente la nostra area cattolico democratica e cristiano sociale, e allarghiamoci a quanti, ambientalisti e riformisti, sono interessati a condividere con noi la difesa e l’attuazione integrale della Costituzione. Anche per questo, certo, ci vorrebbero uomini come Donat Cattin, Marcora e Bisaglia, ma, ahimè, loro non ci sono più e allora, pur con tutti i nostri limiti, spetta a noi, se ancora ci crediamo, portare avanti il progetto.