Jurij Prokof’ev parla di una mossa per cambiare lo scenario politico-sociale nell’Urss; Gorbačëv era coinvolto nel piano. Alimentata la tesi del complotto occidentale. Con Putin la Russia di oggi ha restaurato l’ordine sovietico tanto rimpianto.

Vladimir Rozanskij

Nell’agosto del 1991 ha avuto luogo il tentativo di colpo di Stato contro Mikhail Gorbačëv: l’evento determinante per il crollo definitivo dell’Unione sovietica. Il presidente dell’Urss era in vacanza a Soros, in Crimea; il gruppo chiamato con la sigla “GKCP” (Comitato statale per la situazione di emergenza) ha preso in mano il potere, per poi essere fermato dalla resistenza formatasi intorno al presidente russo Boris Eltsyn.

 In Russia l’evento viene ricordato e commentato da vari punti di vista, dopo una lunga stagione piena di contraddizioni, e la restaurazione di un forte potere autoritario che di nuovo manda nei lager i dissidenti. È di questi giorni la notizia di nuove accuse nei confronti dell’oppositore Aleksej Naval’nyj, da gennaio rinchiuso a Vladimir per aver fondato una “organizzazione estremista”: il Fondo per la Lotta alla Corruzione, ormai sciolto per legge.

Sul sito Lenta.ru è apparsa una clamorosa intervista all’82enne Jurij Prokof’ev (v. foto), nell’estate del 1991 membro del Politburo e ultimo primo segretario del Partito comunista (Pcus) a Mosca (l’allora equivalente del sindaco), molto vicino ai golpisti. A suo parere, il tentato golpe è stato “una provocazione simile all’incendio del Reichstag nel 1933”, che aveva permesso l’ascesa al potere di Hitler. Secondo Prokof’ev, esso ha giustificato lo scioglimento del Pcus e il cambiamento radicale dello scenario politico-sociale nel Paese. Prokof’ev sembra dare credito a quanti oggi considerano quegli eventi come un “complotto” per portare la Russia sovietica sotto l’influsso dell’Occidente.

L’ex-gerarca sovietico mette il putsch moscovita sullo stesso piano delle “rivoluzioni dei fiori” negli altri Stati dell’area sovietica, “dove si sono usati altri pretesti”. Una parte dei cospiratori anti-Gorbačëv non era al corrente della “provocazione”, ma “pensavano di agire per proteggere la patria e l’ordine esistente; altri volevano arrivare invece al potere sfruttando i disordini”. Per Prokof’ev lo stesso Gorbačëv era coinvolto nel piano, insieme “ad alcuni generali del KGB”. Le premesse del complotto erano le manovre politiche di Gorbačëv, “che avevano portato l’Urss sulla soglia della povertà assoluta. La gente doveva fare la fila per un pezzo di salame rancido, e questa situazione era stata organizzata”.

Nell’intervista Prokof’ev ricorda anche le decisioni di Eltsyn, allora presidente della Repubblica sovietica russa, per far prevalere le leggi russe su quelle sovietiche, e perfino lo “scandalo” della creazione del Partito comunista russo il 14 marzo del 1990, che “ha privato il vero Partito, quello sovietico, della forza organizzatrice dello Stato”.

Le sezioni regionali del Pcus erano allora fondamentali per il funzionamento del sistema. Esse non si sono sottomesse al nuovo “partito moscovita”: tutti i capi regionali hanno iniziato una politica indipendentista, e non a caso quasi tutti loro sono rimasti a lungo a capo delle repubbliche ex sovietiche, soprattutto in Asia centrale. I golpisti avrebbero tentato il colpo di mano ad agosto per evitare il congresso del Pcus del successivo ottobre, dove sarebbero emersi tutti i contrasti.

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