Fenomenologia dei call center

Un po’ di umanità non guasta anche nei meandri più reconditi e imperscrutabili delle comunicazioni

Con tutto il dovuto rispetto per chi ci lavora, con turni, orari, retribuzioni che sarebbe opportuno approfondire, i call center sono forse la rappresentazione plastica dell’incomunicabilità, nell’universo simbolico praticabile delle relazioni umane contemporanee.

Se si telefona per chiedere informazioni bisogna dire tutto di sé, pur nel rispetto della tutela dei dati sensibili e personali, resa assai più severa dalla normativa europea di cui al DGPR 679/2016, entrato in vigore due anni dopo. 

Si capisce bene questa modalità di autodifesa che mette al riparo da perditempo, maleducati, pedanti, ansiosi cittadini che pretendono di risolvere un problema o di acquisire tutte le informazioni possibili da una semplice telefonata.

La distanza dell’interlocutore induce ai comportamenti più disparati, ai quesiti più tendenziosi, alle richieste più assurde.

Di converso capita che sia il cittadino ad essere bersagliato da una raffica di contatti telefonici intrusivi a scopo commerciale o pubblicitario per carpire informazioni private, tendenze, abitudini, comportamenti, debolezze, per appioppare contratti o prodotti o servizi nella più assoluta inconsapevolezza del malcapitato che – suo malgrado – è stato contattato e non sa che basta un sì o un laconico messaggio di richiesta di ripensamento per attirarsi una congerie di persecuzioni future alle quali sarà poi difficile sottrarsi.

Eppure c’è una disparità evidente tra chiamante e chiamato, se è l’azienda che cerca di procacciare clienti o contratti.

Ma anche nel contatto specularmente inverso: tra chi chiede una semplice informazione su un servizio che ha già pagato e di cui lamenta il malfunzionamento e chi risponde – se va bene – con un codice alfanumerico pronunciato in modo talmente veloce da non consentirne l’annotazione e se va invece male da una persona che si qualifica con il nome di battesimo (ma potrebbe essere un nickname) mentre una vocina avverte che la telefonata potrebbe essere registrata “ai soli fini del controllo della qualità del servizio”.

Poi- a raffica – ti chiede cognome e nome, luogo e data di nascita, residenza e codice fiscale: praticamente tutto ciò che consente all’azienda di risalire a te, cosa impossibile per chi si deve accontentare di un semplice Giuseppe o Maria.

L’informatizzazione aiuta in via teorica a velocizzare un servizio: molto però dipende dalla cortesia, dalla lealtà, dalla correttezza del servigio reso.

Non è problema da poco. Molta parte delle nostre frustrazioni quotidiane, molta parte delle solitudini senza risposte (pensiamo agli anziani), molto di quanto ci rovina la giornata o ci rende più sfiduciati del rapporto con enti e istituzioni che usano la lancia dell’intrusione e lo scudo della risposta laconica o evasiva, passano da questa modalità di rapporti.

Magari condite da musichette infinite di sottofondo, da risposte automatizzate che non consentono di fatto di esprimere il motivo per cui ci siamo rivolti al call center: i percorsi e le opzioni che si incontrano nel corso della telefonata sono programmati senza possibilità di interlocuzione.

Per raggiungere un operatore bisogna seguire vie tortuose, digitare numeri, percorrere sequenze obbligate.

E’ un sistema che così non funziona, che va profondamente rivisto perché la trasparenza e la privacy sono  valori e l’interlocutore è una persona (da un capo e dall’altro del telefono) che merita rispetto.

Credo che farebbe piacere a tutti poter recuperare una dimensione dialogica nella conversazione, parlare, spiegare, capire. Il telefono è un mezzo non un fine, la qualità del servizio non si esprime solo con un voto.

Un po’ di umanità non guasta anche nei meandri più reconditi e imperscrutabili delle comunicazioni guidate dalla tecnologia e condizionate in modo evidente dal prevalente interesse commerciale.

Per un’azienda è importante la crescita del fatturato mentre per una persona sarebbe gratificante avvertire che la tecnologia è uno strumento per facilitare i rapporti e non una forca caudina sotto cui passare per ottenere una risposta che non sempre riesce a saturare  il nostro bisogno di ottenere una informazione certa e di essere soddisfatti sotto il profilo non secondario della rassicurazione emotiva.