A Palazzo del Governatore si possono ammirare oltre 200 opere tra dipinti, disegni, acquerelli, lavori di grafica e di stampa, fotografie, oggetti di design e proiezioni cinematografiche.
Promossa da Fondazione Eleutheria, Collezione Ferrarini-Nicoli e Comune di Parma, in collaborazione con il Museo di Arte Decorative di Praga, la mostra è curata da Gloria Bianchino, FrancescoAugusto Razetto (Presidente Fondazione Eleutheria) e Ottaviano Maria Razetto. Il catalogo, che contiene i testi dei curatori, è arricchito da approfondimenti sul tema anche dei critici Vittorio Sgarbi e Genny Di Bert, che focalizza la sua analisi sul “vetro”.
L’esposizione, allestita su entrambi i piani del Palazzo, propone al pubblico un percorso temporale, a partire dagli anni ’20 del Novecento fino agli anni ’80, in cui viene approfondita l’atmosfera culturale di Praga e dell’intera nazione cecoslovacca, altamente influenzata dalle vicende storico-politiche, che portò a una particolarissima produzione artistica, parte della quale trovò espressione nella pittura realista di artisti di primo piano come Josef Štolovský (1879-1936), Josef Brož (1904-1980), Adolf Žábranský (1909-1981), Jaromír Schoř (1912-1987), Sauro Ballardini (1925-2010) ed Alena Čermáková (1926-2009). 
Dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al cinema fino al design, l’arte di quel periodo è declinata nelle sue variegate sfaccettature sottolineando, in particolare, l’impatto che ebbe lo “stato di regime”, dal ’48 in poi, sulla cultura della città e dell’intera nazione.
Tra gli Enti patrocinanti l’iniziativa: Ambasciata della Repubblica Ceca a Roma, Ambasciata d’Italia a Praga, Ministero per i Beni e le Attività Culturali della Repubblica Italiana, Ministero della Cultura della Repubblica Ceca, Regione Emilia-Romagna, Praga Città Capitale, Provincia di Parma, Municipio di Praga 1, Istituto Italiano di Cultura di Praga, Centro Ceco di Roma, Archivio di Stato di Parma, Museo delle Arti Decorative di Praga, Camera di Commercio e dell’Industria italo-ceca.

 

L’ANIMA DEL VETRO / “attraversamenti” (tratto dal catalogo)

di Genny Di Bert (curatrice Fondazione Eleutheria)

 

L’industria del vetro fu introdotta in Boemia da Venezia nel XIII secolo, ottenendo subito un grande successo. Già un secolo dopo si iniziava a far uso del cobalto per colorare il vetro. Le fabbriche erano situate in prossimità delle montagne dove i vari minerali, specialmente il silicio, si trovavano in abbondanza.

Il cristallo di Boemia, diventato ben presto famoso in tutta Europa, era chiaro e con forme artistiche molto simili al vetro veneziano che, in gran parte, aveva copiato. L’apice di questo splendido manufatto fu raggiunto nel XVII secolo quando, su impulso dell’Imperatore Ferdinando III, il maestro vetraio Schwanhardt di Norimberga creò autentici capolavori. L’arte dell’intaglio era stata importata in Italia nel 1456, dopo la conquista di Costantinopoli, e trasferita prima a Norimberga (intorno al 1550) e subito dopo a Praga.

Rodolfo II, come noto grande mecenate delle arti, incoraggiò l’industria del vetro, invitando nel castello di Praga i maggiori artisti dell’epoca, tra cui i fratelli Gasparo e Girolamo Miseroni. Costoro arrivarono da Milano ed a loro fu affidato il laboratorio del vetro, fondato dallo stesso Rodolfo. Le splendide creazioni in vetro realizzate a Praga ed a Norimberga in quegli anni mostravano ancora l’influenza di Albrecht Dürer (morto nel 1528).

L’uso del cobalto veniva dai laboratori della Sassonia e si rifaceva alla produzione olandese detta “alla veneziana”. Sotto l’influenza dei vetri cechi anche in Sassonia, di converso, l’industria si sviluppò considerevolmente. Con l’affinarsi della tecnica il cristallo andò migliorando in qualità e trasparenza, soprattutto attraverso l’uso di carbonato di potassio al posto del carbonato di sodio. L’incisione era effettuata con la stessa accuratezza del cristallo di rocca. Quella più profonda era operata con un frammento di cristallo naturale, mentre l’incisione più chiara richiedeva l’uso di un frammento di diamante.

La fabbricazione di oggetti in vetro colorato restò sempre legata a conoscenze molto antiche anche se, nel Seicento, gli alchimisti scoprirono il vetro rosso rubino colorato per mezzo dell’oro. Secondo alcuni documenti cechi, nel 1690 il vetro rubino era prodotto a Freising e Michal Müller fu il primo a produrlo in Boemia.

La “Guerra dei Trenta Anni” spopolò la Boemia e Schwanhardt ritornò a Norimberga, da dove egli era andato a Praga per diventare direttore delle fornaci imperiali. Da Norimberga uscirono poi la più parte dei capolavori in cristallo, che i potenti dell’epoca ordinavano in gran quantità. Il suo ritorno a Praga avvenne nel 1652 e, con il figlio Heinrich, continuò a realizzare meravigliosi manufatti quali bicchieri, bottiglie e vasi. Spesso questi lavori continuavano ad essere impreziositi da eleganti incisioni e decorazioni in oro.

Durante la seconda metà del XVII secolo cominciò ad apparire il famoso cristallo rosso rubino, portato poi alla perfezione intorno al 1679 da Johann Kunckel a Potsdam. Costui, nato nel 1638, era un chimico e le sue ricerche lo avevano portato ad investigare il modo di colorare il vetro. Egli scoprì che, per ottenere questa bellissima forma colorata di rubino, il materiale doveva essere scaldato due volte e l’oro utilizzato per il colore essere impiegato solo in piccolissime quantità. Frattanto, nel 1612 Antonio Neri pubblicava il libro “L’arte vetraria”, che ebbe notevole influenza sugli artigiani del vetro e sugli scrittori di questa materia. Il volume ebbe quattro traduzioni: inglese, latino, tedesco e francese. Quest’ultima, effettuata dal barone D’Hollack a Parigi nel 1752, fu sempre considerata la migliore.

Molti dei cristalli della Boemia, sia antichi che moderni, sono pesanti anche per lo stile di decorazione che li caratterizza: ossia l’incisione profonda. Durante la prima metà del XVIII secolo fu molto ammirata un decorazione chiamata “kalligraphen ornamente”: era chiara ed elegante con disegni convenzionali, che ricoprivano quasi per intero la superficie del manufatto. Questo prodotto ottenne in Europa una crescente richiesta. Maria Teresa, contessa delle Fiandre visitò all’epoca Gand, città nota come grande mercato per il vetro veneziano. Ma, in quell’occasione, i cristalli creati per celebrare la visita furono eseguiti in puro stile di Boemia, arricchito da stemmi nobiliari. Di conseguenza, la crescente domanda di cristalli in stile boemo comportò effetti disastrosi per le manifatture veneziane. Infatti, i laboratori di Murano furono ridotti quasi alla rovina al punto che il Senato veneziano proibì la produzione di cristallo in stile boemo. Più tardi, sempre nel Settecento, un nuovo stile fu introdotto in Boemia chiamato “doppelwandglas”, praticamente un revival dell’arte antica. Esso consisteva in due strati di vetro contenenti, al loro interno, una decorazione incisa in foglie d’oro od argento. Ma come il cristallo della Boemia aveva finito per mettere in ginocchio quello veneziano così il sorgente vetro inglese fece con quello praghese. Infatti, alla fine di quel secolo, l’industria vetraia ceca entrava in una crisi che toccò il suo apice nel momento del blocco napoleonico.

Agli inizi del 1800 ebbe luogo la ripresa e, per rivitalizzare l’industria vetraia, fu prodotta in Boemia gran quantità di cristallo rubino. A quei tempi nella regione c’erano ben sei principali centri di manifattura del vetro, di cui il primo era a Nový Bor, ritornata agli antichi fasti del XIII secolo.

Il metodo di realizzazione del cristallo boemo fino al 1880 può definirsi semplice. Tutte le fornaci erano di piccole dimensioni, installate in mezzo alle foreste, e quando il legno attorno a loro si esauriva era considerato più economico spostare le fornaci stesse piuttosto che portare il legno da loro. La lavorazione aveva luogo in due aree separate, una dove il vetro veniva abbozzato e l’altra dove veniva rifinito ed ornato con incisioni e decorazioni. Questo sistema fece nascere un gran numero di artigiani specializzati, eccellenti incisori e decoratori, sostenuti dal locale museo statale. Esistevano, inoltre, varie scuole collegate all’industria del vetro nella quale si insegnava l’arte della creazione. Nel 1880, soltanto in Boemia, 179 fornaci lavoravano vetro, gran parte delle quali realizzavano cristalli colorati, tavoli, vasellame e bottiglie. L’esportazione dei manufatti si dirigeva, in particolare, verso gli Stati Uniti che, dal 1876 al 1880, acquistarono per la somma considerevole di 3 milioni di dollari. Tra i vari produttori boemi di vetro una nota di rilievo va alla vetreria Moser, fondata a Karlovy Vary nel 1857, come laboratorio di lucidatura, incisione e molatura.

Tra la fine del XIX secolo ed i primi anni del Novecento, l’Europa fu teatro di eventi importanti nella storia del design. Infatti, tra concorsi, esposizioni, poetiche individuali o collettive, intuizioni produttive o tecnologiche l’arte iniziò a relazionarsi sempre più alla produzione seriale. Il vetro, in quel periodo, arrivò ad essere una ossessione per alcuni artisti, basti pensare, tra tutti, a Gustav Klimt. Erano gli anni in cui la rifrazione speculare, il gioco prismatico di sfaccettature luminose e l’attraversamento ottico di visioni dell’insieme, esigevano l’uso di un materiale apparentemente impalpabile. Ovvero, proprio il vetro.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, la Boemia produce magnifici cristalli colorati, dalle antiche forme, di altissima qualità e di conseguenza molto cari. I cromatismi vanno dall’ambra al rosso chiaro sui quali viene applicata l’etichetta “made in Czecho-Slovakia”: un vezzo ampiamente giustificato dall’indipendenza conquistata dal Paese per la prima volta nella storia. In quegli anni, Moser focalizzava l’interesse verso colori originali come l’alexandrite (viola, rosa, azzurro) e il royalite (rosso porpora, rosso corallo), che avevano la caratteristica di infrangere la luce, creando sfumature e sfaccettature ottiche.

Durante la prima metà del XX secolo continuano a persistere solidi legami tra produzione dei cristalli e correnti artistiche. Alcuni vetri sono pezzi unici, altri seriali. L’artista che lavora per l’industria fa coincidere la sua ricerca estetica con la metodologia progettuale. La produzione diventa strumentale e collettiva. Supera cioè l’aspetto creativo dell’autore per aspirare non soltanto ad una finalità artistica ma anche ad una utilitaristica.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale la produzione del vetro, in particolare colorato, si concentra nel nord della Boemia. Le richieste maggiori arrivano dai Paesi comunisti e da alcuni Paesi arabi. Oltre ai vetri rosso rubino, verdi, blu e opali, va di moda la pittura a smalto in spessore e smalto in rilievo. Le raffigurazioni e decorazioni riprendono iconografie tipiche dell’Art Nouveau: ghirlande, figure femminili, fiori. Queste iconografie vengono realizzate direttamente sul cristallo oppure collocate all’interno delle incisioni (spesso, in questo caso, la decorazione è realizzata con sali d’oro allo stato colloidale).

Dal 1948 con l’avvento del comunismo si assiste ad un notevole cambiamento della società civile anche nell’ambito artistico. Tuttavia, la fabbrica del vetro è particolarmente sostenuta dal governo: il comunismo non la considera “pericolosa”. Nella lavorazione del cristallo il talento degli artigiani rimane, anche se l’innovazione estetica non è particolarmente presente. Molti pezzi sono “citazioni” di periodi passati, soprattutto i primi decenni del XX secolo; altri propongono invece immagini dettate da tematiche del realismo socialista, come del resto si rileva negli altri settori artistici.

Negli anni Cinquanta molti vetri sono intagliati con motivi geometrici, che a volte riempiono tutta la superficie, essendo spesso applicata una seghettatura del bordo superiore. Anche in questo caso si riscontra una seppur velata e sottile ispirazione ad alcune correnti del passato: Decò, Cubismo ceco, Costruttivismo russo.

Nel 1958 si svolge l’Esposizione universale e Internazionale EXPO a Bruxelles (la prima organizzata dopo la Seconda Guerra Mondiale): un avvenimento che ha influenzato il design degli anni ’60 e ’70 della Cecoslovacchia. In quell’occasione il Paese viene premiato con la Stella d´Oro per l´architettura e l´organizzazione del proprio padiglione, che presentava in anteprima mondiale la Lanterna Magica di Alfred Radok e Jiří Svoboda.
Anche negli anni Sessanta il cristallo cecoslovacco contribuisce alla ricerca ed innovazione europea del design del vetro. Tra gli esponenti di maggiore spicco troviamo Pavel Hlava (1924-2003). Famosi sono i suoi vasi in vetro molato, come l’opera Goccia (in esposizione), nella quale i colori, tendenti allo scuro, sono stratificati ed alternano sfumature in verticale anche all’interno del lavoro. Sotto luci diverse le opere presentano un bellissimo gioco cromatico cangiante. Spesso la geometria si congiunge con modularità concentriche, che sembrano voler “disperdere” l’anima del vetro, dissolvendo la materia. Nello stesso periodo, sono originali le bottiglie create dal praghese René Roubiček (1922-2018) ed i suoi vetri variegati viola, blu e giallo ambra.

Tutte le opere in mostra rappresentano vari aspetti socio culturali della Praga di quegli anni, un periodo in cui i vetri sono vere e proprie creazione di design sia nel significato inglese (ogni sorta di progettazione applicabile ad ogni attività) che in quello italiano (esclusivamente «industrial o artigianale design», ovvero progetto delle cose, prodotto della cultura materiale). Anche se riprodotti in serie ed inseriti in un circuito prevalentemente commerciale, essi restano comunque molto particolari. Infatti, sono creazioni nelle quali l’equilibrio tra aspirazione artistica e finalità economica ha un senso, riportando alla mente l’importante evoluzione socio-culturale dell’Europa di quel tempo. In fondo, sono multipli creati per diffondere un messaggio estetico relazionato al livello culturale del fruitore.

Alcuni dei vetri esposti sono stati realizzati per commemorare importanti eventi. Si veda, ad esempio, il vaso in “vetro formato” con la scritta “Marathon de la Route 1966” oppure il “vetro stampato” Helsinky 1975, realizzato in occasione della stipulazione dell’atto finale della “Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa”. Il primo rende giochi chiaroscurali in forme morbide, che ricordano fiori o conchiglie, dai bordi ingrossati, pesante nella realtà ed estremamente leggero alla vista. Pura trasparenza che sembra diffondersi tutt’intorno. Il secondo, pur mantenendo lo stesso cromatismo, appare progettato come “sfondo” dell’iconografia principale: una colomba stilizzata quale simbolo di pace.

Nel “vetro a stampo” di Adolf Matura (1921-1979) Composizione n. 3484, realizzato nel 1972 per la Sklo Union Teplice – Vetreria Libochovice, si riconoscono giochi di geometrie e figurazioni tipiche di questo artista, che ha iniziato la sua carriera a Železny Brod. Egli sperimentò diverse discipline vetrarie con particolare attenzione ai vetri intagliati e tagliati ed a quelli pressati, che elaborò con particolare attenzione dalla metà degli anni ’60, anni in cui lavorò anche con Moser (proprio nel ’60 Matura, con un set di bicchieri con caraffa vinse la medaglia d’ora alla Triennale di Milano). All’inizio della sua attività egli realizza soprattutto vasellami ed accessori in vetro formati sia da soffiatura che da taglio. In questo lavoro si percepiscono spinte moderniste che, come manifattura e gioco formale, lo relazionano ad altre opere esposte (di autori anonimi).

In quello stesso periodo, Pavel Hlava modifica i suoi vetri rendendoli più “morbidi” (si veda, ad esempio, il vetro molato realizzato per Crystalex di Nový Bor). Da spinte verticali ascendenti egli passa ad una forma più articolata, spiraliforme. Pur mantenendo sfumature cromatiche e giochi ottici di luce interna ed esterna, il movimento si attua intorno ad una sorta di perno centrale, che ricorda la tecnica manuale delle ceramiche, l’alternarsi tra vuoti e pieni, il rapporto materia-spazio.

Presenti in mostra anche opere di František Vízner (1936-2011).  Questi, dopo aver studiato a Nový Bor e Železný Brod concluse i suoi studi all’Academia di Arte Applicata a Praga e collaborò con centri d’arte ed industrie (Teplice, Škrdlovice). Il vetro soffiato in mostra è del 1974. L’anno seguente Vízner intraprese esclusivamente la carriera di artista indipendente, cessando la produzione seriale industriale. I suoi lavori propongono semplici volumi, in cui la funzionalità non è, comunque, prioritaria. I colori sono luminosi, le proporzioni sono articolate.

Anche l’opera di Petr Hora, nato nel 1949, è caratterizzata da spinte scultoree. I suoi vasi, di cui un esemplare degli anni ’70 è presente nell’esposizione, sono essenziali e dinamici allo stesso tempo. Nel suo lavoro sono già presenti i tratti che l’artista ripeterà anche negli anni successivi, caratterizzati dalla ricerca della luce e della forma attraverso una elegante manipolazione di colori e strutture. Volumetrie di vetro che lasciano i ricordi minimali per evolversi in design postmoderno.