Articolo pubblicato su ilpopolo/cloud

Qualche disorientamento, tra i tanti inossidabili democristiani, l’avrà messo in conto Marco Follini quando ha sentenziato quel giudizio negativo sulla possibile riedizione della DC, nel suo riproporre, nelle tante interviste, i tratti più significativi del suo libro, ” Democrazia Cristiana. Il racconto di un partito”, pubblicato nell’ottobre del 2019.

Certo non gli si può negare l’attenuante della imprevedibilità sul quadro di eventi sciagurati che hanno minacciato seriamente l’umanità e hanno reso il tempo ancora più prezioso nel suo scorrere.

Tanto da essere il fattore determinante nella scommessa, davvero epocale, che l’Italia ha intrapreso con l’ampio processo di ristrutturazione che investirà gli ambiti ordinamentali più importanti, dall’assetto giudiziario e del Csm, ai settori normativi più incidenti nel rapporto Stato – cittadino.

In questo quadro una più attenta rimeditazione del recente passato e di qualche giudizio severo sul futuro della DC, si impone.

E tra i tanti non si può tralasciare e non mettere sotto un nuovo focus, anche, l’asserzione, appunto, di Marco Follini: “..la DC non può più rifarsi”.

Di certo, la rilettura di quell’analisi, ci fa collocare, senza dubbio, l’impietoso giudizio in una contestualità datata e ormai obsoleta e perciò inverosimile nel rapporto con la realtà odierna.

In fondo è il limite di qualsiasi opinamento umano, non riuscire a disancorarsi del tutto dalla sua connotazione dimensionale, finendo per perdere la sua giustificazione fuori dal suo tempo, i cui ritmi imprevedibili della Storia terrena ne stravolgono, spesso, la immutabilità del suo divenire.

Sono mesi che ci stiamo arrovellando su come uscire da una pandemia così devastante.

Colpiti nelle profondità, talora, incommensurabili dei nostri sentimenti, non risparmiando alcuna latitudine, ha davvero messo in serio rischio il futuro delle nostre generazioni, rendendo ancora più profondo ed impervio il cammino per una pacifica convivenza tra i popoli.

A maggior conto, non si può restare indifferenti davanti ad un pronostico così risoluto sulla impossibile rinascita della DC, non ripercorrendo le ragioni di tanto giudizio.

Eppure non molta acqua è passata sotto i ponti tra quel ritratto, a volte, impietoso,ma pieno di sentimenti forti e di passione – nel quale il bilancio politico e storico che Egli fa della Dc, interseca i tanti aspetti in cui si è plasmata quella virtuosa sintesi progettuale – ed il nuovo scenario delle relazioni umane generato dai tanti flagelli: nelle famiglie, nei rapporti sociali e nel sistema economico, che la pandemia ha causato, non solo nel nostro paese.

Ebbene, non sono il solo a essere convinto che, in questo inedito scenario, Follini riconsidererebbe quel suo giudizio.

Come sono convinto che non resterà inerte di fronte al gravoso onere che attende le forze politiche per ridare al paese nuove prospettive con l’attuazione del Recovery plan, dentro la cornice di riforme che investiranno tutti quei settori precipui per rendere più efficiente la capacità di risposta che uno Stato di diritto deve saper assicurare ai suoi cittadini, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona.

Quale migliore contributo se non quello di chi ha vissuto intensamente, da giovanissimo, un ampio arco delle stagioni politiche della DC, poi generosamente impegnato nel tentativo di non disperdere quel patrimonio di valori nelle esperienze centriste, fino al tormentoso cammino che lo ha portato a lasciare la militanza attiva.

Ma oggi di fronte alle sempre più preoccupante carenza di una classe dirigente che non riesce più a trovare, nel sestante politico, una sintesi accettabile tra le istanze dei nuovi ceti sociali nel rapporto tra interesse pubblico e privato e un’adeguata tutela per una fattiva collaborazione dei corpi intermedi, ridare voce a quegli ideali e a quella visione, affinché in questo delicato percorso di ricostruzione politica, civile, economica, sociale si diano risposte solide, equilibrate e lungimiranti, è per tutti, ma soprattutto per chi si riconduce a quei valori, un dovere civile ed etico.

Certo, saranno gli elettori alla scadenza di questa legislatura, o forse anche prima, in esito all’elezione del nuovo Capo dello Stato, a decidere.

Ma, intanto, non possiamo affidare la riproposizione di quel patrimonio di ideali ai personalismi o a commistioni ibride tra differenti culture politiche. Del resto in quello spaccato di vita politica che Follini ci ha saputo trasmettere, entrando nei meandri dei tanti episodi vissuti in prima persona con statisti del calibro di Fanfani, Moro, Andreotti e tantissimi altri protagonisti, non c’è anche una funzione maieutica?

Tanto che non ci pare un fuor d’opera pensare quanto quel ripercorrere le tante vicende politiche e le capacità di risposta, mai occasionali, all’intersecarsi di interessi complessi, possa aver rafforzato, soprattutto tra i tanti giovani, che, in sempre maggior numero cominciano a trovare linfa in quel virtuoso patrimonio culturale, l’idea di un concreto coinvolgimento e di attiva partecipazione, sotto quel nome e sotto quel simbolo.

Sarebbe, invece,un errore imperdonabile, lasciare a questa classe politica che sembra aver smarrito del tutto ogni consapevolezza del bene comune e del primato della persona, il compito di disegnare il futuro del nostro paese, affievolendo queste potenzialità ed energie, di cui il paese ha bisogno, in quel  “..percorso lungo e faticoso” come Follini dice, attendendo che si configurino (guardando al processo di nuova aggregazione post-ulivista di Zamagni) in nuova identità politica.

Ma quanto può valere un simile modello aggregativo lo testimoniano i diversi tentativi che dalla “Margherita“ in poi, a destra e a sinistra, hanno caratterizzato la cosiddetta “seconda Repubblica“: sovente un mix di ideali e di visioni senza un denominatore comune (a tal proposito invito a leggere l’intervista al Sen. Renzo Gubert, pubblicata su Il Popolo di qualche settimana fa).

Altra cosa è invece riproporre quell’identità che un tale valoroso patrimonio ha saputo esprimere nella sua esperienza precedente.

Diversamente si finirebbe per disperdere ogni energia disponibile, oltre a esporre il paese a un declino irrecuperabile.

Non vedere altre vie d’uscita, accrediterebbe una visione miope, non compatibile con il filo conduttore di quella rievocazione politica.

Così che anche quando Follini afferma risolutamente “… il punto di partenza, penso, debba essere questo e non altri.Tutto il resto viene dopo”, alla luce del nuovo contesto di impegni appena assunti con il Next generation eu, una opportuna riconsiderazione non sarebbe fuor di luogo.

Sarebbe un avventurismo senza ritorno affidarsi ad un nuovo processo costituente, accantonando definitivamente nome e simbolo.

L’Italia sta entrando nella fase cruciale di quel programma di ammodernamento, tra scadenze perentorie (cinque anni appena, ossia entro il 2026) e condizioni poco negoziabili, concordate con l’Ue ed affidarla bellamente a un sistema politico polarizzato che, dopo Draghi, riprenderà ad egemonizzare quell’elettorato, dove prevarrà, ancora una volta, quell’Italia “… che pretende soluzioni semplici e veloci a problemi complessi”, significa lasciarla in una deriva senza rotta con un modello di governance politica lontano un miglio dalle “…ragioni della mediazione, del dialogo, del confronto, della riflessione…”.

E poi quel patrimonio identitario si porrebbe, anche, come argine al culto del leaderismo, per la precipua caratteristica dei democristiani di avere nella cultura e nel dna un vero e proprio antidoto contro ogni intruppamento populista.

Mentre troverei preoccupante non riconsiderare quel ragionamento,a fronte delle amare constatazioni che si traggono, in quelle pagine, su questa classe politica, quando non vi era ancora un tale devastante scenario.

Ove non si usano toni velati per descrivere l’inadeguatezza strutturale di queste forze politiche: “… con la DC prevaleva una visione complessiva del paese.. Oggi invece assistiamo al conflitto permanente tra diverse partigianerie”.

Giudizi non da poco per rendere tutto il senso del vuoto di progetti credibili per il paese che aleggia da diversi lustri.

E in una simile congiuntura politica come possiamo contribuire a risanare il paese aspettando che maturino processi costituenti, di cui non si intravedono neanche iniziali contorni, mentre servono risposte immediate, serie e lungimiranti, sotto l’egida di quel simbolo, come garanzia di credibilità sia interna che nei quadranti internazionali?

Colmando, al contempo, il vuoto di lealtà e coerenza rispetto agli impegni assunti, attesi da un elettorato e da un diffuso sentimento popolare, lontani un miglio dal pressappochismo e dall’avventurismo di formazioni politiche orientate spesso dagli interessi delle grandi lobby o di settore, oggi egemoni, o da dottrine populiste, giustizialiste, antiparlamentariste, trasformiste e in aperto contrasto con la naturale idea della famiglia.

In definitiva, in quale altro modo tempestivo possiamo arginare quanto Follini molto bene scolpisce: “… Si è perso il senso dell’insieme, della politica come strumento di partecipazione e di coinvolgimento, nel rispetto delle differenze e delle diverse posizioni. È un male che riguarda molti partiti attuali”.

Vuol dire, in fondo, che anche lui riconosce che a un sistema malato, bisogna opporre forze sane, capaci, coerenti e dalla visione lungimirante affinché il destino immediato e futuro di questo nostro paese non sia lasciato a un declino irreversibile.