Non ci troviamo di fronte a una biografia o a un saggio storico, ma ad una “invenzione realistica” che spinge il lettore ad avvicinarsi a un Moro inedito. Ha scritto Mario Lavia: “Un po’ come Stendhal, che non cita che una sola volta la Certosa di Parma nel suo capolavoro omonimo, addirittura in “Via Savoia” […] il protagonista non è citato mai. È “lui” la persona importante di cui si narra e non c’è bisogno di nominarlo perché questo libro di Marco Follini non è un né una biografia politica né un saggio storico ma, appunto, un racconto drammatico e, se ben si intende l’espressione, romantico”.

Aldo Moro scelse per sé un ufficio periferico e austero, in via Savoia: un tentativo di tenersi a prudente distanza dagli affanni del Palazzo, e di marcare una netta differenza tra lui, il suo modo di vedere la vita e la politica, e quello dei compagni di partito, degli alleati, degli avversari. 

A partire da questa scelta simbolica, un manifesto delle intenzioni, Marco Follini racconta la parabola umana e politica di Aldo Moro fin dai primi passi a Roma, dov’era arrivato dalla Puglia grazie alla sua delicata intraprendenza. 

Moro è dipinto come un outsider che conquista il suo partito e il paese, eppure in quell’uomo che si muove così abilmente nelle stanze del potere abita un animo tormentato e fragile, che non è stato quasi mai raccontato. Un carattere che lo rende “scomodo” perché mai silenziosamente allineato, e segna una differenza che pagherà con il rapimento e gli ultimi dolorosi 55 giorni di prigionia, in cui Moro si rende conto di non essere solo ostaggio delle Brigate rosse ma anche di uno stato che scoprirà essere troppo diverso da sé. 

Lui che era un uomo del dialogo, convinto che nessuno, mai, dovesse essere abbandonato a se stesso. 

[Il testo è tratto dalla presentazione che appare sulla pagina di Amazon Libri. Prefazione, come si legge in copertina, è dell’ex direttore dell’Espresso, Marco Damilano].