Riportiamo un piccolo stralcio dell’intervista che Marc Lazar ha concesso la settimana scorsa a Sarah Halifa-Legrand per il prestigioso settimanale francese (L’OBS).

 

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Il populismo francese è tutt’altro che un caso isolato… Qual è la sua valutazione del populismo in Europa e non solo oggi?

 

Alcuni osservatori una volta credevano che la stagione populista fosse finita. Tutti i populisti di destra che si riferivano alla Brexit e Donald Trump, che volevano fare “Frexit” o “Italexit”, si sono resi conto che il Regno Unito era in una situazione molto difficile, che Trump, il loro riferimento, aveva perso le elezioni, mentre poi il Covid ha messo in luce l’importanza di un’Europa unita, capace di pagare ingenti somme agli States. Non è così. Il neopopulismo oggi è un fenomeno duraturo, profondo, globale, non uno scatto febbrile passeggero, come avrebbero potuto essere gli esperimenti populisti del passato. Niente a che vedere con il Poujadismo della Quarta Repubblica, esempio emblematico in Francia di populismo, che durò solo pochi anni fino al ritorno al potere di De Gaulle. Oggi il neopopulismo si radica perché ha ovunque le stesse tre grandi causalità: l’affanno delle nostre democrazie liberali e rappresentative, che è spesso riassunto dall’espressione “stanchezza democratica”;  disoccupazione, disuguaglianze sociali e precarietà del mercato del lavoro in un mondo globalizzato; e infine questioni culturali e di identità.

 

Questo neopopulismo assume nel tempo una forma sempre più definita?

 

Nel mondo della ricerca ci sono tre grandi linee di pensiero per comprendere il populismo, che è sempre difficile da identificare e definire. La prima consiste nel dire che il populismo è una thin ideology, un’ideologia sottile, difficile da identificare. Non esistono infatti grandi dottrine o grandi autori sul populismo, con la notevole eccezione del tentativo di definire il populismo di sinistra della filosofa belga Chantal Mouffe e di suo marito, l’argentino Ernesto Laclau [una strategia di conquista del potere che consiste in particolare nel riportare la passione in campo politico opponendo il popolo alle élite, per combattere l’egemonia neoliberista, ndr]. 

Una seconda scuola vede giocare il popolo contro l’élite come una strategia per acquisire potere e poi mantenerlo, continuando a mobilitare le folle a sostegno del leader.

Secondo la terza ipotesi, che ho sviluppato nel mio libro “Peuplecratie” (1), il populismo è uno stile, un modo di essere, un modo di parlare.  Alcuni populisti si esprimono in modo semplice e volgare, adottano certe posture del corpo, come l’italiano Matteo Salvini, perché è così che percepiscono le persone. Questo stile tende a diffondersi, anche tra coloro che si oppongono ai populisti. Lo abbiamo visto con Matteo Renzi o anche Emmanuel Macron, che si è presentato nel 2017 come il candidato antisistema, l’uomo nuovo. Credo che il populismo attuale assomigli sempre di più a una combinazione più o meno organizzata di queste tre definizioni principali.

Mi sembra che la sua forma più compiuta si trovi oggi in Ungheria. Viktor Orbán sta costruendo una spina dorsale per la sua sperimentazione. Ha dato un nome al suo progetto – “democrazia illiberale” – e lo ha spiegato: a suo parere è necessario difendere un’Europa in declino, minacciata di sommersione dall’Islam, ristabilendo i valori cristiani e rimettendo la famiglia tradizionale al centro della società. 

Eric Zemmour è sulla stessa linea ideologica. Il loro discorso è molto più coerente di quello di Marine Le Pen, che ha delle costanti ideologiche, in particolare su immigrazione ed Europa, ma che si adatta anche molto.  Mentre ha iniziato promuovendo, sulla scia del padre, una politica neoliberista in economia, si è evoluta verso una posizione molto più statalista. Pur provenendo da una famiglia politica che ha sempre disprezzato il femminismo, si presenta come una donna moderna.

 

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(Traduzione a cura della redazione)

 

  1. Ilvo Diamanti et Marc Lazar, Peuplecratie. La Métamorphose de nos démocraties, Gallimard, 2019.