Fragilità e responsabilità della Rete. Intervista a Luciano Floridi (L’Osservatore Romano)

Pubblichiamo per gentile concessione questa intervista al filosofo Floridi apparsa il 16 ottobre sulle pagine dell’organo ufficioso della Santa Sede.

Luca M. Possati

Intelligenza artificiale, ruolo dei social network, giustizia sociale e responsabilità individuale, equilibri geopolitici in mutamento. Tutti nodi cruciali, intrinsecamente connessi in un mondo sempre più complesso. Il digitale ha cambiato e cambierà il nostro modo di vivere e la nostra società come nessun’altra rivoluzione industriale nella storia dell’uomo aveva mai fatto prima. Ne abbiamo parlato con Luciano Floridi, professore di filosofia all’Università di Oxford, esperto internazionale di etica dell’informazione, recentemente intervenuto a Milano alle “Martini Lectures” organizzate dall’Università Bicocca sul tema “Intelligenza artificiale: l’uso delle nuove macchine”

Facebook è sempre più nell’occhio del ciclone dopo le accuse della ex-manager.

Mi sorprende la sorpresa. È risaputo che Facebook e altri operino in questo modo. Mi ricordo il dibattito con Facebook quando voleva convincere che la responsabilità che bambini sotto 13 anni non stessero su social network ricadesse sui genitori. Tanto che l’azienda affermava di volere dare maggiore potere ai genitori per controllare. Una posizione assurda: il negozio che vende alcol a dei bambini chiude. I genitori saranno responsabili, ma il negozio chiude perché è illegale.

Internet è un gigante con i piedi di argilla? È qualcosa che garantisce ancora una trasparenza, una libertà di parola?

Da sempre la rete soffre di una fragilità di contenuti: le cose spariscono, i link non si trovano più, i siti web vengono riscritti completamente. È un costante oggi, non c’è mai ieri. La riscrittura, l’obsolescenza della tecnologia e il disinteresse per i contenuti sono problemi che ci sono da sempre. Un altro problema che abbiamo sempre avuto, ed è in crescita, è quello della forbice tra contenuti prodotti e spazio di memoria dove metterli. Non c’è abbastanza spazio, e lo spazio che c’è costa. Di conseguenza molti dati vengono semplicemente cancellati; se non sono legalmente vincolati vengono buttati via. Tutto questo mondo di contenuti è fragilissimo e lo è sempre stato. La rete in sé invece, in quanto struttura di comunicazione, è stata fatta per resistere a un bombardamento atomico. È estremamente solida. Dobbiamo tenere ben presente questa distinzione tra contenuti e struttura. Facebook si è fermato come servizio, cioè come contenuti, non come struttura. Un altro capitolo invece sono gli attacchi, ovvero come la rete può essere usata per altri scopi. Proprio perché la struttura è forte e siamo tutti collegati, gli attacchi sono pericolosi e sempre più potenti. Chi entra in casa mia entra in casa di tutti.

Questo però non implica un altro problema, ancor maggiore, ovvero il rischio che i grandi gruppi come Google, Facebook e altri possano sfruttare la solidità della rete e l’intelligenza artificiale a loro vantaggio e arrivare fino a controllare anche le istituzioni, i governi e gli stati?

Questo è un rischio che abbiamo corso, ma adesso stiamo correndo di meno. Prima non c’erano difese, oggi sì. Negli Stati Uniti la nuova amministrazione Biden è molto attenta a questi problemi e ha messo nei posti chiave persone competenti e esperte di anti-trust. In Europa si stanno approntando strumenti efficaci per arginare i monopoli. Stiamo facendo una legislazione molto costruttiva in termini di protezione delle istituzioni e della loro sovranità digitale. Dunque, il problema fondamentale è il controllo degli operatori e la legislazione gioca in questo un ruolo di primo piano. La vera sfida, anche sul piano geopolitico, cioè nei rapporti tra gli Stati, è quella di creare difese all’altezza delle sfide e dei rischi. In particolare, con l’intelligenza artificiale non possiamo lasciare ad altri l’iniziativa. È in corso una nuova guerra fredda che si combatte col digitale, non col nucleare.

In questa nuova guerra fredda del digitale l’Europa è ancora indietro?

Sì, è ancora indietro. La causa principale è la mancanza di mentalità politica, perché poi il resto segue. Solo se hai la mentalità politica, puoi trovare soluzioni infrastrutturali e finanziarie. Si pensi soltanto alla vicinanza della Germania con la Russia per questioni energetiche. È stata una scelta miope perché per una soluzione di oggi si rischia di compromettere il futuro abbassando le difese. Tra le altre cose, la Russia è infatti un punto di partenza di attacchi digitali, oltre che di oppressive ingerenze nell’Europa dell’Est. È una guerra feroce, fatta di commercio, supremazia tecnologia, attacchi e contrattacchi. E non bisogna mai abbassare la guardia. In tal senso, ho visto di buon occhio il lancio del EU-US Trade and Technology Council. L’intelligenza artificiale è anche una questione di difesa nazionale. Occorre capire fino a che punto si spingerà questa nuova guerra fredda, che non è fatta col nucleare ma col digitale. In Europa, ad esempio, stiamo lavorando al cosiddetto AI Act, la proposta di legge sull’AI della Commissione. In essa, la persona o le persone – non la macchina – sono completamente responsabilizzate. Possiamo controllare e monitorare questi processi.

Non è un fatto legato anche all’istruzione, cioè al modo in cui l’intelligenza artificiale e il digitale vengono trattati nelle università e a scuola, cioè come cose ancora tutto sommato marginali? Non c’è un netto divario qui tra l’Europa e altri Paesi?

Certo, assolutamente. Il digitale è ancora visto troppo spesso come un qualcosa di marginale e un di più, cioè un qualcosa che si fa appoggiandosi a servizi già esistenti. Il caso dell’Italia è emblematico: le grandi aziende che operano nel digitale e nell’intelligenza artificiale sono straniere. Il Paese è completamente dipendente da queste aziende. Il problema nasce quando bisogna creare un polo tecnologico per la difesa nazionale e la cybersecurity. Avere un’azienda nazionale interamente dedicata a questo tipo di missione non sarebbe male. Non per un nazionalismo sciocco, ma solo per avere più equilibrio. Solo così un governo può permettersi scelte autonome.