FREDDE CONSIDERAZIONI SU CORSI E RICORSI DELLA STORIA: DA DE GASPERI A GIORGIA MELONI.

“La lezione della storia – si legge a conclusone di questa simpatica ma non ingenua sovrapposizione storiografica – sta nel non dimenticare quanto è stato e anche, nel bene, nel ricordare quali soluzioni sono state trovate e, nel male, quali scelte non debbono essere ripetute”.

Due date a confronto: 25 ottobre 2022-15 luglio 1946.  E con esse, a confronto, il discorso del primo premier donna e il discorso del primo premier della Repubblica. Il perché del confronto tra i due discorsi dei Presidenti del Consiglio, tecnicamente detti comunicazioni, è che oggi come allora siamo di fronte ad un fatto nuovo nella storia della Repubblica. Nel luglio del 1946, il re Umberto II lasciava il Paese a seguito del referendum del 2 giugno che aveva indicato la Repubblica come nuova forma di Stato: si trattava di un atto di abdicazione accolto dal Presidente provvisorio del Consiglio dei Ministri, De Gasperi. A questo referendum avevano partecipato per la prima volta le donne: il suffragio universale nel Paese fu una conquista da non dimenticare, e quindi da onorare ancora oggi per il fatto che quelle donne aprirono un varco nella storia della nostra democrazia post bellica. Sono le signore a cui dobbiamo il “tenore” della Repubblica.  

Il 15 luglio 1946, davanti all’Assemblea Costituente, giurava fedeltà alla Repubblica il suo primo Presidente, Enrico De Nicola, e un momento dopo il primo Presidente del Consiglio si apprestava a chiedere la fiducia del suo Governo, il secondo a suo nome, Alcide De Gasperi. Un Governo di coalizione in una forma politicamente irripetibile: Dc, PCI, PSI, PRI, PLI. Lo stesso giorno si dava mandato all’Assemblea Costituente di presentare un progetto di Costituzione della Repubblica.  

Il 25 ottobre 2022, il primo Presidente del Consiglio donna si apprestava a chiedere la fiducia al suo Governo. Anche questo un Governo di coalizione: FDI, Lega, FI. Sono passati 74 anni da quel voto referendario che sanciva la nascita della Repubblica e le donne del 2 giugno 1946 non avrebbero certo immaginato che ci sarebbe voluto così tanto tempo prima che una donna diventasse Premier. La Meloni Presidente del Consiglio è anche un loro riscatto per una esclusione che non ha ragioni logiche ma tutte politiche.  

Premesso che tutti i discorsi dei Presidenti del Consiglio, proprio perché debbono andare “a caccia” di voti di sostegno, necessariamente hanno un tono programmatico generale e ottimista, quanto meno un atteggiamento positivo, perché sulla possibilità di convincere si basa la nascita stessa del Governo; essi, in effetti, presentano alcuni punti in comune in ragione delle circostanze che ne segnano l’espressione politica. De Gasperi esce da una guerra con l’Italia alle prese di una economia distrutta, una società gravemente provata, un tessuto industriale ridotto ai minimi termini ed enormi debiti di guerra a causa dei trattati di pace. Meloni ha una guerra alle porte di casa, lontana per ora, i cui effetti economici sono invece in casa: crisi energetica e inflazione dei prezzi, un tessuto industriale frammentato e sconfitto dalla globalizzazione in cui avevano creduto in molti, disoccupazione in salita, povertà in crescita, recessione economica all’orizzonte. 

De Gasperi parte dalla necessità di riconoscere l’esistenza di una giustizia internazionale alla base di una più ampia democrazia internazionale, fronteggiando perciò una necessità legata alla questione dei danni di guerra. La ricostruzione del Paese passa attraverso due punti: suscitare le libere energie e insieme la solidarietà nazionale. Ma questa rinascita non può realizzarsi senza la dignità della Patria, l’unico fattore morale che possa garantire l’indipendenza politica ed economica del Paese. Stare a testa alta nelle organizzazioni internazionali, in primis l’ONU. 

Per l’Europa, per come la conosciamo noi, ci vorranno gli anni ‘80 con l’ingresso dei primi Stati non fondatori della UE. Fornisce le indicazioni su quelle che saranno le linee di intervento del Governo. Combattere la disoccupazione con l’incentivazione delle produzioni, dare garanzia a tutti i lavoratori che avranno un salario che assicuri di avere i necessari mezzi di vita, sostenere il potere della moneta contro l’inflazione post bellica, incentivare la ricostruzione del territorio sostenendo con un programma speciale i lavori pubblici. E qui dice proprio una frase che ritroviamo in Meloni: “Nutrire fiducia nelle forze che liberamente operano nel Paese”. Ciò significa, pertanto, sostenere con politiche fiscali e aiuti le piccole e medie imprese che sono il tessuto economico vitale. Parla espressamente di un intervento di sussidio dello Stato ai lavoratori pubblici e privati che hanno perso il lavoro o che hanno uno stipendio reso risibile dall’inflazione dei prezzi. Per questo si impegna per la riforma del sistema assicurativo dei lavoratori. Affronta il problema della riforma agraria legandola anche alle industrie trasformatrici dei prodotti agricoli, alla grande piaga delle terre incolte, ai latifondi, ma anche all’incoraggiare le iniziative e le imprese private in questo settore come in tutti gli altri settori economici di produzione e trasformazione di prodotti. Il compito grande del Governo è quello di ricostruire e riformare il programma economico per il Mezzogiorno e le Isole, ridurre la pressione fiscale per tutte le imprese e i lavoratori, impossibilitati a farvi fronte (una vera pace fiscale per certi versi), comprensibile visto lo stato post bellico. Ed infine un passaggio per incoraggiare quegli interventi normativi che consentono di dare autonomia ai Comuni e alla Regioni. Chiude richiamando le quattro libertà di Roosevelt: libertà di espressione, libertà di religione, libertà dal bisogno, libertà dalla paura; e che ritroveremo nella Costituzione.

Meloni non esce da una guerra, ma corre un pericolo maggiore: se le cose si mettono male la guerra dalle porte di casa entra ditrettamente in casa, forse non sul piano militare ma certamente in forza di una crisi energetica senza precedenti. È il lungo inverno economico che sta sullo sfondo di questa guerra Russo/Ucraina. 

Come per la circostanza di De Gasperi, uscito dalla volontà popolare del referendum, così Meloni esce da un consenso molto ampio e che esalta ricordando il vincolo che lega popolo e parlamento. Richiama per l’Europa le comuni radici giudaico–cristiane, le fonti classiche di questa cultura europea, e vuole stare a “testa alta in questi consessi internazionali senza subalternità e complessi di inferiorità”. Prende atto che nel corso di due decenni il Paese è cresciuto solo del quattro per cento mentre gli altri Paesi europei sono cresciuti del venti per cento, e indica nella crescita sostenibile e duratura l’orizzonte di intervento del suo Governo. È alle prese con il divario tra Nord e Sud tanto dal punto di vista sociale (condizioni e aspettative di vita) e indica nella ripresa di una politica industriale nazionale la linea direttrice dello sviluppo. Lega la questione della clausola di salvaguardia dell’interesse nazionale alla protezione e cura delle infrastrutture strategiche sottraendole agli interessi internazionali.  Una rivoluzione culturale nel rapporto tra lo Stato e il sistema produttivo delle imprese; come in De Gasperi la questione agraria fu la rivoluzione culturale di una Italia afflitta dai latifondi e dall’alta analfabetizzazione della popolazione rurale, dall’assenza di sistemi produttivi industriali nell’agricoltura.

La questione fiscale è un refrain di ogni Governo della Repubblica e rimane uno dei nodi “gorgoniani” delle politiche fiscali del Paese, sia che siano espansive per incentivare i consumi sia che siano restrittive per scoraggiare l’evasione. De Gasperi e Meloni hanno un problema comune che li costringe a prende decisioni simili. La povertà. Nel 1946 la povertà dovuta alla guerra che ha distrutto tutto il tessuto sociale ed economico. Nel 2022 la povertà dovuta alla globalizzazione che come una guerra, ha sfilacciato il tessuto sociale ed economico per lunghi 15 anni, e la pandemia da Covid, che ha fermato alcuni settori produttivi in modo da comprometterne la ripresa. 

Insomma, leggendo i due discorsi i punti di contatto farebbero concludere per un “niente di nuovo sotto il sole”, ma sarebbe ingiusto per entrambi. La lezione della storia sta nel non dimenticare quanto è stato e anche, nel bene, nel ricordare quali soluzioni sono state trovate e, nel male, quali scelte non debbono essere ripetute. Alcide De Gasperi lo possiamo e dobbiamo inquadrare nella sua dimensione di statista, il più grande del nostro secondo Novecento. E Giorgia Meloni? La sua Destra, chiaramente, ha tutto da dimostrare in termini di credibilità politica e concretezza operativa.