Pubblichiamo l’intervento del prof. Gennaro Curcio, Segretario generale dell’Istituto Internazionale Jacques Maritain, al convegno su La Pira, che si è tenuto ieri nell’Ambasciata italiana presso la Santa Sede. Tra gli  intervenuti, oltre al “padrone di casa”, l’Ambasciatore Pietro Sebastiani, vogliamo menzionare  il Presidente della CEI, il Card. Gualtiero Bassetti.

Giorgio La Pira e Jacques Maritain sono due esempi di quanto la politica possa essere umana, cioè impegnata nel servizio alla persona. Vivono ancora oggi un legame indissolubile: la buona politica del filosofo francese diventa buona pratica nell’operato del Sindaco di Firenze. Entrambi ci insegnano quanto la politica, quella davvero umana, debba fondarsi sul dovere di agire per il miglior bene dell’altro e preoccuparsi dei bisogni della persona.

In una corrispondenza del giugno 1946, La Pira scriveva a Maritain: «È questo un tempo così propizio per mostrare in concreto che (…) può e deve sorgere una civiltà animata da un’ispirazione di amore e di universalità». Risulta evidente che l’amore e la solidarietà rendono l’impegno politico un dono per l’altro, una mano costantemente tesa verso il prossimo e capace di costruire ponti di fraternità e abbattere i muri della diffidenza e dell’odio. I ponti di La Pira realizzano la fellowship di Maritain.

Scriveva Maritain in Il filosofo nella società: «Il termine fellowship connota qualcosa di positivo nelle relazioni umane. Esso evoca l’idea di compagni di viaggio che per caso si ritrovano riuniti quaggiù e che camminano per le strade del mondo in buon accordo umano – per quanto fondamentali siano le loro opposizioni – di buon umore e in cordiale solidarietà, o, per dire meglio: in amicale e servizievole disaccordo. Ebbene, il problema del buon compagnonnage, della fellowship, tra membri di differenti famiglie religiose, appare centrale per la nuova età di civiltà che si sta abbozzando nel crepuscolo nel quale siamo». La Pira ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca di quell’amicale e servizievole disaccordo che regge i compagni di viaggio. Animato da questo spirito, ha allargato il suo sguardo al Mediterraneo, rendendo tangibile quel suo desiderio di pace anche agli stati del mare nostrum. Mi piace pensare i quattro colloqui mediterranei come a un esercizio di diplomazia intraculturale per costruire insieme la società della pace. L’intracultura, specie nel Mediterraneo, coglie la bellezza plurima dell’umano, quella a cui Maritain e La Pira si sono tanto dedicati, e la connette in un dialogo fecondo finalizzato al bene più autentico della persona. Il Sindaco della pace, come del resto anche il filosofo francese, «era una persona, scriveva Paolo VI, che aveva senso dei fini, non soltanto dei mezzi da percorrere, ma del dove andare».

Sono queste le coordinate che rendono buona e autenticamente umana la politica: il senso dei fini, i mezzi a cui ricorrere e l’aver ben chiara la meta da raggiungere. Se la destinazione è una società di pace, la diplomazia intraculturale diventa il mezzo, lo strumento, più adatto a occuparsi del fine unico che è la persona.

Una politica non umana, progettata prescindendo dalla persona, è solo un esercizio retorico, una pratica demagogica in cui il la rotta è ormai smarrita. Sono le persone, i loro volti, le loro storie e i lori bisogni che investono la politica della responsabilità del fare e del sentire per l’altro. Giorgio La Pira ci insegna proprio questo. La politica, dunque, è prassi. É togliersi il proprio cappotto in una sera molto fredda per darlo a chi non ce l’ha, è adoperarsi affinchè tutti abbiano una casa, è costruire una “città viva” in cui anche le “attese della povera gente” trovano espressione. Giorgio La pira oltre a essere un testimone di pace del ‘900 è uno straordinario esempio di quanto il servizio alla speranza renda migliore la comunità umana, sociale e civile.