La battaglia di questi giorni con tutta probabilità sarà l’ultima di una lunga guerra tra lega e cinquestelle cominciata subito dopo l’approvazione delle due misure bandiera: reddito di cittadinanza e riforma della Fornero. La fine del conflitto è stata segnata dal discorso al Senato del Presidente del Consiglio tra un vice alla sua sinistra, mummificato in una posa platealmente impassibile e l’altro, alla sua destra solo apparentemente composto ma pronto a sottolineare con moti ed espressioni i passaggi salienti.

La piece più interessante di tutta la recita, andata in scena a ferragosto al Senato dal Presidente Conte, è proprio la parte che si è riservato. Abbiamo individuato , in essa tre distinti atti. Primo tempo: la reprimenda a Salvini che ondeggiava tra il tono del rimprovero solenne che si fa in classe all’alunno scapestrato, e l’insulto al rivale: il copione non prevedeva urla come nelle liti tra automobilisti ma l’uso del tono paludato ed altezzoso ad un tempo per scaricare comunque gli insulti peggiori e le offese più sanguinanti che si rivolgono prima di venire alle mani. Secondo atto: prevedeva l’autocelebrazione quale uomo di Stato, sicuro di se stesso, convinto del suo status superiore nel parlare  di se in terza persona autochiamandosi   Presidente del Consiglio, incensandosi come una sorta di statista ed accusando il rivale non già di offesa alla sua persona bensì all’istituzione governativa, espediente retorico ben noto a cui ricorrono i poveretti per elevarsi laddove  essi, per la loro  meschinità, non potrebbero mai giungere se non per un colpo di immeritata fortuna.

Il terzo atto, forse il più spudorato è quello della chiusura dove Conte, sempre più convinto di essere lo statista del quale la patria non potrà fare a meno, ha presentato il programma del suo nuovo governo, un terzo atto molto lungo e perciò letto più in fretta   infarcito di luoghi comuni conditi in una salsa ambientalista che tutto dovrà avvolgere in un mitico ritorno alla natura incontaminata cioè in sostanza niente TAV, niente ferrovie, niente opere pubbliche niente fabbriche, un pezzo frutto probabilmente dei suggerimenti che sembrano scritti a due mani da Toninelli con il ministro dell’ambiente.
Stupisce che questo carneade riscuota un notevole successo nei sondaggi e  sia stato capace di far dimenticare ciò che si è ben guardato dal ricordare della sua permanenza a Palazzo Chigi.

All’inizio, durante la confusa fase di formazione del governo quando la sua candidatura sembrava caduta e la scelta del Capo dello Stato era per Cottarelli, l’uomo salito con il trolley al Quirinale, il nostro avvocato, professore ed da ultimo statista aveva già integrato il suo curriculum  autodefinendosi, in anticipo, Presidente del consiglio del governo italiano! Poco tempo dopo, seduto davanti alle telecamere al fianco del suo mentore Di Maio, che allora aveva da poco cessato di vendere bibite allo stadio San Paolo, gli chiese, non tanto a bassa voce da non essere colto dal microfono: “questo lo posso dire?” Di Maio gli fece cenno di no e lui se ne rimase zitto. Successivamente la sua figura di capo di governo andò sfumando e l’intera scena fu occupata dai due vice, Di Maio e Salvini, tanto che molti credettero che il presidente non ci fosse proprio. E’ noto inoltre che le riunioni del consiglio dei ministri da lui convocate sono state le più brevi della storia repubblicana: duravano pochi minuti ciascuna. Del resto a cosa dovevano servire se le decisioni erano prese sempre tra Di Maio e Salvini che poi gliele comunicavano? Non si è mai ben capito se l’impossibilità di svolgere il suo compito cioè quello di garantire l’indirizzo unitario del governo, come prescrive la costituzione, sia dovuta alla sua incapacità ovvero ad una obiettiva difficoltà di portare a sintesi posizioni talmente divergenti.

Questo è sin qui sempre avvenuto ma lo statista si è guardato bene dal trarne le conseguenze presentandosi dimissionario al quirinale come avrebbero fatto, anzi hanno sempre fatto, tutti indistintamente i suoi predecessori con ben diversa autorevolezza, dignità e senso dello Stato e delle istituzioni, temi dei quali Conte ha saputo solo infarcire il suo discorso. Ma la documentazione inoppugnabile si è avuta nella seduta di discussione parlamentare sulle mozioni pro e contro la TAV per la quale Conte, a rischio del collo, si era dichiarato favorevole. La commedia è stata assolutamente  inedita: al parlamento i due partiti al governo si pronunciano in modo apposto; il ministro delle infrastrutture Toninelli con una leggerezza pari solo al suo senso e alla sua conoscenza della costituzione, dichiara che la mozione anche se favorevole alla TAV vincola il parlamento e non il governo…! Al momento della pronuncia del voto i due sottosegretari indicano ai propri di votare l’uno, il leghista, insieme a tutti gli altri partiti, per il sì alla Tav, e l’altro, il pentastellato, per il no : si è materializzata così la rappresentazione pubblica, notarilmente anotata nei verbali del parlamento italiano, della conclamata  crisi di governo e dell’obbligo, non solo di dignità e morale ma conforme alla mai sino ad ora derogata  prassi costituzionale, di salire al Colle per presentare le dimissioni.

Eppure è avvenuto il contrario: anzi , forse non tutti lo ricordano, quella surreale seduta parlamentare in cui tutto ciò è avvenuto si è svolta alla presenza della poltrona del presidente del consiglio, ma assolutamente e continuativamente vuota. Forse il paragone è irriverente (nei confronti dei Savoia) ma è stato inevitabile pensare, guardando quel trono dal quale Conte ha poi pronunciato il suo roboante discorso sulle Istituzioni, alla fuga del Re e della sua corte da Roma al precipitare della guerra. Ci viene in mente per definire la statura politica di questo premier una sola delle tante citazioni fatte nei discorsi e ci dispiace di citarne solo una violando la par condicio: Salvini ha ricordato il pensiero pronunciato da Don Abbondio raggiunto dai bravi: “il coraggio , se uno non ce l’ha, non se lo può dare”. Appunto.

Conclusione: Ogni epoca crea i suoi statisti. A noi è capitato questo ma almeno possiamo osservare con orgoglio e come esimente che nessuno di noi ha mai votato  lui e quel suo governo.