Gli attacchi alla Chiesa sono il segno di una nostalgia nascosta

Intervista al cardinale Schönborn

Articolo già apparso sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Andrea Monda

«Sto vivendo una bellissima esperienza di sinodalità, di camminare insieme» afferma il cardinale Christoph Schönborn e sente di poter estendere le sue parole a tutti i partecipanti al summit convocato in Vaticano sul tema della tutela dei minori. «Vedo che qui tutti quanti stiamo insieme, uniti e cerchiamo di non pensare che i problemi sono solo quelli degli altri ma che tutti dobbiamo procedere in un cammino di conversione, che è la prima parola del Vangelo e la condizione per l’annuncio. Per questo mi sento di dire che questi quattro giorni possono essere un grande momento di rinnovamento della Chiesa tramite la conversione».

All’interno delle tre giornate di lavoro è stato da più parti osservato come da parte del mondo esterno la Chiesa sia continuamente sotto accusa, rappresentando il bersaglio preferito, quasi il capro espiatorio di tutti i mali che affliggono la società contemporanea. Lei non trova che questo sia spesso il segno di un ingiusto accanimento che nasce dal fatto che in un mondo in preda ad un relativismo imperante la voce della Chiesa, con la sua solida struttura etica, sia fuori dal coro, controtendenza e quindi da contrastare, colpire, discreditare?

Se da una parte questo è vero, dall’altra la questione merita un approfondimento. Personalmente ho una visione più complessa del problema, che non intende esaurire la questione ma può essere uno spunto utile per arricchire la nostra riflessione, per aiutarci a non vivere solo sulla difensiva, come una cittadella assediata, a staccarci dalla visione solo negativa del mondo con la facile contrapposizione tra il mondo cattivo e la Chiesa buona e povera vittima. Dovremmo innanzitutto ricordarci che Gesù stesso ci ha detto «beati siete voi se tutti dicono male di voi». Poi va riconosciuto che a volte non dovremmo lamentarci perché dicono male di noi, perché lo fanno a buon diritto, con buone ragioni, perché il male c’è e quello degli abusi sui minori è un male gravissimo.

In questi giorni il Papa ha convocato qui tutti i presidenti della conferenze episcopali del mondo, un’occasione per vivere realmente la cattolicità, l’universalità della Chiesa.

Esatto, anche qui c’è una prima reazione che potrebbe portare ad avvertire come ingiusti gli attacchi che tutta la Chiesa deve sopportare per i peccati di alcuni. Si potrebbe pensare: «Cosa ho a che fare io con la lontana Chiesa del Cile o degli Usa?». Ma non è così. La Chiesa, tutta la Chiesa deve rispondere, sempre, complessivamente. Questo proprio alla luce del Vangelo, delle parole del Signore: siamo una realtà sola, un solo corpo, è il primo attributo della Chiesa che è «una, santa, cattolica, apostolica». Siamo il corpo di Cristo e come ha scritto il Papa nella Lettera al popolo di Dio, se un membro è perseguitato tutti siamo perseguitati e se un membro ha peccato tutto il corpo pecca e soffre. Facciamo dunque l’esperienza davanti al mondo che la Chiesa è veramente una, nel bene ma anche nel male.

Lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton diceva che la Chiesa cattolica permette poche cose ma perdona tutto, mentre il mondo permette tutto ma non perdona nulla. C’è qualcosa di implacabile negli attacchi rivolti oggi contro la Chiesa, forse che la misericordia è sparita dal mondo contemporaneo?

Molto bella e molto giusta la frase di Chesterton. Sì, a volte sembra che ci sia poca misericordia. Ma è anche vero che dietro questa durezza e apparente mancanza di misericordia può nascondersi un desiderio, tante volte deluso, che esiste il bene, la carità, la misericordia. Questa mia riflessione nasce alla luce di alcune parole di Benedetto XVI, che ha detto più volte che il mondo secolare proprio nel suo sguardo critico nei riguardi della Chiesa rivela una nostalgia nascosta, una grande nostalgia di qualcosa di grande e di puro. Nel cuore dell’uomo c’è sempre questa nostalgia che diventa come una sfida di credere che veramente la Chiesa di Cristo rappresenta qualcosa di grande e di puro. La critica allora può essere vista anche come un anelito di quelle persone che ci criticano ma perché vogliono che quella grandezza del Vangelo sia vera, sia vissuta autenticamente. Quasi una rabbia, un rammarico che il Vangelo non può essere sporcato ma che per forza deve esistere. In questo senso mi ha aiutato un testo del secondo capitolo della Sapienza, su cui Benedetto XVI ha spesso riflettuto, dove è scritto: «Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l’educazione da noi ricevuta». La Chiesa come un maestro che rimprovera e quindi suscita un duro attacco: «Vediamo se le sue parole sono vere; proviamo ciò che gli accadrà alla fine. Se il giusto è figlio di Dio, egli l’assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua rassegnazione». Ecco io penso che la Chiesa oggi vive un periodo di prova, il momento in cui è “saggiata”. Anche Benedetto XVI meditando su questo testo lo ha sentito così: il mondo ci critica per saggiarci, per vedere se veramente siamo miti, se veramente il Vangelo è giusto e possibile. Allora invece di lamentarci sulla durezza dei mass-media contro la Chiesa leggiamo in questo un desiderio nascosto, che la Chiesa sia veramente quello che Gesù vuole che sia. Se leggiamo in controluce questi attacchi si può vedere un sentimento misto di ammirazione e delusione. Da qui dobbiamo ripartire, innanzitutto cercando di essere misericordiosi anche con quelli che ci criticano.