Le fiabe della nostra infanzia erano popolate di personaggi fantasmagorici, ci rannicchiavamo nel divano, nel lettino, in braccio ai nonni mentre ci venivano raccontate, ascoltavamo a bocca aperta e ci immedesimavamo nelle situazioni, imprevedibili e ricche di sorprese ma sempre rassicuranti.

Principesse, cavalieri, maghi, streghe, gnomi, folletti, orchi: un mondo fantastico e ricco di allegorie dove il racconto suscitava visioni ed emozioni a non finire.
Era una narrazione immaginifica che ci portava lontani da casa e ci restituiva ogni volta, dopo mille paure, un finale a lieto fine, quasi mai uguale a se stesso anche se il bene trionfava sempre sul male e i cattivi erano puniti, con nostra grande consolazione.
“… E vissero tutti felici e contenti”: questo ci permetteva di addormentarci in santa pace e – come dice Massimo Gramellini – di “fare bei sogni”. Il poeta napoletano del ‘600 Giambattista Basile, l’inventore di Cenerentola prima che uscisse dalle favole di Charles Perrault, curò una raccolta di fiabe ‘pe li piccirilli’ che fu definita da Benedetto Croce il più bel libro italiano barocco: “Lo cunto de li cunti”.

In esso così descriveva la figura fisica dell’orco: “aveva i capelli come setole di porco, neri neri, che gli ricadevano fino ai malleoli; la fronte grinzosa, la bocca storta e bavosa, dalla quale uscivano due zanne di cinghiale, il petto tutto bernoccoli in un bosco di pelame cosi tanto da poterne riempire un materasso, alto, con la gobba, panciuto, sottile di gamba e storto di piede….” tanto che faceva “scontorcere” la bocca per lo spavento. Un orco terrificante che viveva in caverne o spelonche e metteva paura ai bambini ma sempre nei contesti fiabeschi e della fantasia.

Gli orchi di oggi sono tutt’altra cosa: generalmente si tratta di persone di cui ci si può fidare, abitano nelle periferie urbane, nel nostro paese, si incontrano per strada o nel nostro stesso condominio, non di rado vivono nell’appartamento della porta accanto, nelle scuole, negli ambulatori o in canonica, certe volte tra le rassicuranti mura di casa. Si vestono come gli altri, sono uguali tra di loro, alcuni si nascondono sotto un camice bianco o un clergyman. Non sempre aggrediscono i bambini, spesso li circuiscono con fare mellifluo, li inducono alla confidenza più intima e approfittano della loro innocente fiducia. Nelle fiabe gli orchi cattivi mangiavano i bambini, ora gli orchi mascherati da persone per bene li violentano, fisicamente e psicologicamente, abusano di loro.
Lo ascoltiamo quasi ogni giorno dalla cronaca e ne siamo rabbrividiti.
Ma leggere gli atti giudiziari che si occupano di questi casi fa capire che la realtà supera in crudeltà e inganno la più fervida fantasia: orribile quando ciò accade nella cerchia parentale, anche quella più stretta.

Può un padre, un nonno, uno zio “usare” una piccola creatura che è carne della propria carne, sangue del proprio sangue, per soddisfare i propri bassi e schifosi istinti?
Purtroppo accade, con crescente disinvoltura sovente coperta da silenzi e connivenze.
L’infanzia che viene abusata dagli orchi porta con sé ferite palesi o nascoste, per tutta la vita.
Un adulto che violenta una piccola creatura, un bambino, un adolescente esprime il lato più orribile e infamante dell’umanità. Purtroppo ce ne sono ovunque anche in quel buco nero senza ritorno che è la rete senza rete, spesso nascosti nell’anonimato o sotto mentite spoglie.

Per questo addentrarsi in quel viaggio, superare la soglia che separa la realtà tangibile dalla virtualità sorprendente apre ai minori territori senza frontiere, che possono rivelare dolorose e raccapriccianti sorprese. Anche i più accorti e prudenti possono incappare in disinvolti malandrini, maniaci del sesso, pedofili, sfruttatori che seducono, abusano e ricattano.
Dall’intercettazione di un dato, di una identità, di un numero di telefono, di un profilo facebook, di un contatto postato in internet si producono meccanismi invasivi e persecutori che trasformano il web in una gabbia per la tratta dei minori.
Non sempre i ragazzi sono attrezzati per resistere, non sempre si confidano con i genitori o gli insegnanti.
E questo mondo nascosto della rete è un universo sconosciuto dove tutto può accadere.
Gli orchi del web sono altrettanto e forse più pericolosi di quelli che vivono nel nostro mondo quotidiano.

Ma in ogni contesto, reale o virtuale che sia, il rischio dell’abuso è latente e incombente.
Per questo occorre alzare la guardia, osservare i comportamenti dei nostri figli, cogliere segnali di disagio, leggere sofferenze nascoste, mentre alle istituzioni spetta l’onere e il dovere di mettere in atto tutti gli strumenti normativi e di tutela per proteggere l’infanzia e l’adolescenza dai contesti esistenziali che generano violenza.
Purtroppo, a differenza delle fiabe che ascoltavamo da piccoli e che noi stessi raccontiamo – sempre più raramente per la verità – ai nostri figli e nipoti, la realtà ci insegna che sono molte le storie di bambini e di ragazzi che non vivranno felici e contenti e che il “lieto fine” va lentamente scomparendo dagli orizzonti esistenziali del nostro tempo.