Articolo già apparso sulle pagine di Servire l’Italia

Tutti parlano dello “spread” dell’Italia, ma pochi parlano dello “spread” degli Stati Uniti, ossia della differenza tra i tassi d’interesse dei titoli di Stato americani e i tassi degli altri paesi, soprattutto della Germania. Siamo all’assurdo che persino i tassi d’interesse dei titoli di Stato italiani sono inferiori a quelli americani. Gli investitori richiedono una maggiore remunerazione per finanziare il debito pubblico dello zio Sam rispetto a quello del Bel Paese, perché lo ritengono più rischioso, pur essendo inferiore a quello italiano, se rapportato al prodotto interno lordo (102% contro il 132%). Possibile che il Paese più forte del mondo debba subire questa costosa umiliazione rispetto all’Italia, che non gode certo di stabilità politica e di buona salute economica? Non solo, ma da diversi anni si assiste anche all’assurdo di vedere il dollaro in piena salute sul mercato dei cambi rispetto a tutte le altre valute.

Questa duplice “assurda stranezza” si spiega con una realtà poco capita o conosciuta. Molti si preoccupano del crescente disavanzo pubblico Usa (il prossimo anno sfonderà per la prima volta i 1.000 miliardi di dollari), ma ben più preoccupante è il crescente disavanzo annuale della bilancia commerciale americana (ormai vicino ai 700 miliardi di dollari), che contribuisce a inondare il mondo di dollari. È la conseguenza di un fenomeno iniziato nei lontani anni ’50, quando le grandi imprese statunitensi decisero di diventare “multinazionali” per aumentare il loro fatturato e i loro profitti. Fu una decisione che con il tempo, inevitabilmente, ha contribuito a ridurre le esportazioni dei prodotti americani (basti pensare a quanta Coca Cola si produce fuori dagli Stati Uniti) e ad aumentare il disavanzo commerciale.

L’enorme importo dei dollari usciti è poi in parte rientrato, ma non più di proprietà degli americani, bensì dei creditori stranieri, che li hanno investiti in titoli di Stato Usa e in attività acquistate in casa dello zio Sam (azioni e immobili). Si è così arrivati negli ultimi 10 anni a quintuplicare la differenza tra le attività possedute all’estero dagli Stati Uniti e le attività possedute dagli stranieri negli Stati Uniti. Infatti nel 2010 gli americani avevano all’estero beni per $19,8 trilioni e gli stranieri negli Usa per $21,8 trilioni (disavanzo Usa di $2 trilioni). Nel 2019 siamo, rispettivamente, a $27,1 trilioni e a $37,1 trilioni (disavanzo Usa di $10 trilioni). Paradossalmente a questo disavanzo ha contribuito anche la forza del dollaro negli ultimi anni, perché ha rivalutato gli investimenti stranieri negli Usa (specialmente della Cina) e ha svalutato quelli americani all’estero.

Ecco perché gli Stati Uniti sono “condannati” a essere forti. Una loro eventuale debolezza politica ed economica farebbe venire meno la fiducia nei loro creditori esteri e sarebbe… la fine del mondo. Ecco perché lo “spread” Usa è superiore persino a quello dell’Italia. Se il re dollaro fosse detronizzato, tutto il mondo ne pagherebbe le conseguenze. La paura dei creditori stranieri lo rende forte… La paura dei creditori dell’Italia ha colpito Salvini. La paura dei creditori stranieri colpirà anche Trump?