Guardando alla storia di Sassoli. Quella cifra che un cattolico porta in politica e nel mondo. 

Cos’è il rammentatissimo “tratto gentile” di David Maria Sassoli? Un agghindamento estetico? O una condotta morale? Nessuna delle due. Era quello che è stato ed è sbeffeggiato oggi da narcisismo, nichilismo e cinismo insieme: un approccio relazionale non conformato a questo mondo, e perciò liberante. Naturalmente se non si tratta di superficiale estetica (perché esiste anche un’estetica seria) né di razionalismo etico, da dove gli derivava? Da valori, impegno politico, essere cittadino del mondo, ecc ecc ecc? Anche qui non basta per concludere sul letto di morte pronunciando ripetutamente la parola “amore”. Bisogna che questo mondo si arrenda: gli derivava dalla sua confidenza con il Signore. 

In un sermone di Natale tenuto a Samoa – dove poi morì a quarantaquattro anni – Robert Louis Stevenson esortava alla gentilezza e all’allegria, “i perfetti doveri che vengono prima di ogni moralità”, sottolineando come solo la stupidità e la falsa smania di elevatezza possono disconoscere lo  schietto valore di essere onesti e gentili con gli altri. Lui, il grande scrittore esperto del male e dell’ombra, sapeva quanto sia bene che una ricorrenza costringa un uomo – nel buio dell’Inverno, quando la fioca luce fa accorgere delle sedie vuote lasciate dai nostri cari – ad indossare una “maschera sorridente”, anche se – diceva agli indigeni di Samoa che lo ascoltavano – non sa per quale salario lavora o cosa davvero è in suo potere; ma è _comunque_ in viaggio e, come sottolinea Magris, si avvia con le sue quattro ossa verso il leale “fiasco umano” che è al fondo della strada di ognuno.

Così, guardando alle recenti vicende e alla vera cifra della vita di David Sassoli, si squarciano le tante cappe che camuffano l’esistenza e appare l’unico totalizzatore, quello che il figlio Giulio ha detto in Santa Maria degli Angeli nel commiato al padre, e cioè che l’ultima parola che David Maria pronunciava ripetutamente nelle sue ore estreme di soggezione alla tirannia del tempo era “amore”. Perché ogni altra cosa dinanzi alla morte appare per quello che è: vanità. 

La fine della vita temporale, dice Paolo VI nel suo ineguagliabile “Pensiero alla morte”, ha una sua fosca chiarezza: “vi è la luce che svela la delusione d’una vita fondata su beni effimeri e su speranze fallaci. Vi è quella di oscuri e ormai inefficaci rimorsi.”. 

Nel ricordare e celebrare i valori, il pensiero, la passione e lo spirito di servizio di Sassoli, la riflessione non avanza però più di tanto nel _trarre le conseguenze_ dall’altro campo di parole pronunciate: gentilezza, garbo, amicalità, pacatezza. Una terminologia e un armamentario desueti, a tal punto che anche i più attrezzati culturalmente risultano imberbi. Una celebre copertina della rivista “GQ” Italia dell’Ottobre 2014 riportava il claim “I cattivi? La gente li adora”, insieme ad una frase di Kevin Spacey: “Anch’io sono stato ambizioso ed egoista, come un vero politico”.

Cosa significa allora la tanto rammentata gentilezza, sorriso e persino bontà di Sassoli? Perché parliamoci chiaro: anche in tanta intellighentia cattolica – anche quella che pensa che occuparsi de ‘la politica’ sia la cosa più alta e cristiana del mondo (fu Pio XI in una udienza del 1927 alla Federazione Universitaria Cattolica a dirlo, non Paolo VI) – si respira l’insopportabile sussiego di chi si ritiene un circolo millesimato di eletti. In mano ad alcune cerchie di autoconvocati anche la Dottrina Sociale della Chiesa diventa ‘bene effimero’; perché citare a memoria la Bibbia o questa o quella enciclica non significa proprio nulla. 

Per questo bisognerebbe farsi interrogare maggiormente il tratto umano di Sassoli come di tanti altri: è in questa *levatura spirituale*, a-funzionale ed esposta persino alla derisione, che sta tutto il succo della differenza (troppi si accodano a chi sbeffeggia con l’epiteto ‘anime belle’, e magari poi sfoggia elucubrazioni sulla ‘bellezza-che-salverà-il mondo’). Anche in politica. Perché la più alta forma di carità è mettersi al servizio di Qualcosa che ci supera e che ci trascende, per condurci verso quella pienezza che come diceva De Beers è il più grande desiderio di ogni uomo. Poi si vedrà se questo si fa con la politica o rimboccando le coperte ad un malato.

Questo è quello a cui non si sfugge e questo è il _Segno_ dell’impegno.

Citare la bontà di Sassoli vuol dire ammettere che si è stati colpiti, coinvolti, ‘inclusi’ come si dice oggi, da questo approccio relazionale. E questo non è che Sassoli lo trovasse solo in La Pira, Turoldo, Don Milani e tutto il pantheon del cosiddetto cattolicesimo democratico: la fonte è in quell’Unico Essenziale (il resto, tutto il resto, passa) cui si accede tramite la Fede – che come dice Papa Ratzinger mette in assoluta personale immediatezza con Dio, così che io mi possa con-fidare – e che ha acceso per noi i La Pira, i Turoldo, i Don Mazzolari, i Don Gnocchi e tanti tanti altri, a cominciare dai genitori e da chi per primo un giorno della nostra vita ci parlò di Cristo.

È chi si alimenta a questa fonte, chi si alza la mattina mettendosi sotto il potere della Grazia di Dio, è questi che poi diventa buono e gentile per gli altri.

Il 10 Ottobre del 2020 Papa Francesco beatificò Carlo Acutis. Naturalmente pochi sanno o si ricordano chi è. Carlo è un ragazzo di 15 anni di Monza,  morto ad Ottobre del 2006 per una leucemia. Era come un qualsiasi nostro ragazzo; appassionato di internet veicolava il suo pensiero sullo spirito di Dio nel nostro tempo realizzando siti web.

Ma ecco dov’è la cifra come Sassoli; ce la dice Padre Roberto Gazzaniga, Assistente Spirituale dei liceali del “Leone XIII” di Milano, il Liceo di Carlo Acutis: «Un ragazzo capace di sorridere e scherzare, una presenza positiva. Una di quelle persone che, quando ci sono, tu stai meglio. Che ti aiutano a vivere, a livello umano e di fede. Lo vedevo e mi veniva da dire: questo è un pezzetto di cielo per gli altri ragazzi». Insomma abbiamo capito: una di quelle persone che quando ci sono tu stai meglio.