Milano, maggio 1989. Nella ex fabbrica dell’Ansaldo si svolge il 45° Congresso del Psi. Bettino Craxi è confermato segretario. L’assemblea pone il problema del riformismo socialista, come progettualità riformatrice imperniata sul discorso del rinnovamento del sistema istituzionale. Nel suo discorso, Craxi affronta la questione della “grande riforma”. E’ l’epoca dei garofani rossi, delle vacche grasse, delle spese folli, dell’esuberanza di una politica italiana che vantava un Pil superiore a quello inglese. L’Italia veniva definita sui giornali come “la quinta potenza economica mondiale”. Gli anni Novanta alle porte sembravano un decennio favoloso, quello della definitiva consacrazione del nostro Paese sullo scenario internazionale. Come poi è finita, non poteva prevederlo nessuno.

Il Congresso di Milano è l’unico momento “pubblico” di un film (Hammamet, diretto da Gianni Amelio) molto diverso dal Divo di Paolo Sorrentino. Più psicologico che politico. Il cui principale punto di forza è la straordinaria interpretazione di Pierfrancesco Favino, una copia quasi identica dell’ex segretario del Psi per mimica e cadenza della voce, pause comprese. 

Va detto che Hammamet non è un film militante, non intende riabilitare un percorso politico o giudiziario. Il racconto si concentra sugli ultimi 7-8 mesi di vita ad Hammamet, nella villa di Craxi, confortevole ma non esattamente una reggia (come pure sostenuto da molti). La narrazione si sofferma soprattutto sul rapporto di “amore-odio” tra il padre, stanco e visibilmente provato dalla malattia, e la figlia Stefania. Che nel film diventa Anita, come la compagna di Garibaldi, un mito craxiano. È commovente il suo arroccarsi attorno al padre, che lei cura, serve, ama. Lei lotta per lui, con ostinazione, sopra a ogni diceria. Nel film Bettino dice: “Ogni volta che la guardo vedo il male che mi fanno. Perché quel male arriva prima a lei”. 

Centrale è anche la figura del giovane Fausto, una sorta di “coscienza critica” del leader sulla scia del padre (morto suicida durante Mani Pulite) che non è difficile riconoscere in Vincenzo Balzamo, ex tesoriere del Psi. Il ragazzo arriva ad Hammamet per consegnare una lettera del padre (contenente giudizi durissimi nei confronti di Bettino e della sua “corte”) e per uno scopo che è bene non rivelare a beneficio di quanti andranno a vederlo al cinema.

L’opera vuole descrivere soprattutto le emozioni del leader, la caduta di un uomo potente (per anni temuto e riverito) e il travaglio interiore di chi sa di essere stato abbandonato da tutti e sa che il suo tempo sta per finire. Emblematica – in questo contesto – la scena del nipotino che gioca con i soldatini sulla spiaggia, ricordando «mio nonno disse no agli americani» (chiaro riferimento alla vicenda di Sigonella). I giudici di Mani Pulite non sono mai nominati, seppur ben presenti. Nel film è solo accennata la difficile mediazione del governo D’Alema con la procura di Milano nel tentativo di far rientrare Craxi in Italia per potersi curare, garantendo la sua incolumità fisica.

Nel suo “buen retiro” tunisino, l’ex segretario del Psi incontra una serie di personaggi che lo vanno a trovare. Un vecchio democristiano, con cui si confronta sul finanziamento pubblico dei partiti (ricordando il drammatico discorso alla Camera del luglio 1992: buona parte del finanziamento politico è di natura irregolare o illegale”) e un’amante (Patrizia Caselli) con cui ricorda i tempi dell’hotel Raphael.

Craxi trasuda sicurezza, a volte ha anche un linguaggio non esattamente da gentiluomo, ma rispetto ai politici attuali sembra sempre un gigante. La sua statura culturale emerge anche dalle piccole cose. La mazzetta dei giornali, i libri di Storia, la lezione sulla spedizione dei Mille improvvisata al nipotino. Emblematica – in questo contesto – una battuta con il vecchio democristiano: “L’intelligenza è un’arma a doppio taglio, ma io la preferisco. Cosa te ne fai della lealtà di uno stupido?”.

Resta forse il rimpianto per un’occasione, probabilmente unica, per raccontare ai più giovani una figura centrale – sine ira et studio – di una stagione politica decisiva nella vicenda del Novecento italiano.