Il direttore del settimanale di ispirazione cattolica indica le caratteristiche dell’impegno editoriale della rivista, ieri e oggi: “Siamo sempre stati dalla parte della gente. Guardiamo i fatti, alla luce dei valori cristiani”.

 

Filippo Passantino

Nei 90 anni di pubblicazione in che modo Famiglia Cristiana ha inciso sulla storia del Paese?

Faamiglia Cristiana ha accompagnato la storia italiana cercando di dare un’impronta di apertura, di speranza, di fiducia alle persone e, in particolare, alle famiglie. Il 25 dicembre 1931 il primo numero della rivisita usciva in un contesto storico-sociale piuttosto difficile. Solo due anni prima c’era stato il crollo di Wall Street con tutte le ripercussioni economiche e sociali di livello mondiale. In Italia dominava il Fascismo. In Germania Hitler stava cominciando a prendere potere. Eppure in un contesto così difficile, nasce una rivista dedicata inizialmente alle donne, alle figlie e alle ragazze – una rivista femminile tutto sommato – per poi allargarsi sempre più nel dopoguerra, con l’arrivo di don Giuseppe Zilli alla direzione, ad affrontare la società, la cultura e l’attualità in tutte le sue forme. Da lì una serie di attenzioni alle realtà di cui non si parla spesso nei grandi media. Da questo punto di vista, Famiglia Cristiana è stata importante e lo è tuttora per questa attenzione a tutti e soprattutto a quelli che hanno meno voce. E per quest’apertura di fiducia e speranza che ha cercato di infondere nei suoi lettori.

Una delle caratteristiche di Famiglia Cristiana è l’impegno nel segno della Dottrina sociale della Chiesa e del bene comune. In quest’ottica quale contributo ha offerto?

Questa è stata una delle idee guida della rivista. Al di là delle accusa di una parte o dell’altra, non siamo mai stati un giornale schierato dal punto di vista politico, ma dalla parte delle famiglie e della gente.

Quando è capitato di criticare chi stava governando, a prescindere dal colore politico, l’intento era sempre quello di guardare al bene comune e stare attenti alla realtà delle famiglie che è alla base della rete che sta tenendo il tessuto sociale ed economico del Paese.

Come la realtà della solidarietà, del bene che è sempre molto diffuso nonostante il male sembri prevalere.

Alcune rubriche di Famiglia Cristiana sono molto note, come i Colloqui col padre. Quanto sono state importanti per la rivista?

 

Sono state fondamentali perché mettono in rilievo un aspetto caratteristico della rivista, cioè il rapporto con i lettori. Il nostro giornale è fatto per loro e con loro in realtà abbiamo un legame molto stretto. E questo appare evidente proprio nella rubrica i Colloqui col padre. Che non è la classica rubrica delle risposte del direttore. Ma una sorta di “confessionale pubblico”. Ci si rivolge al direttore chiamandolo “padre”. 

Quindi, considerando anche il suo ruolo di prete, di sacerdote. E aspetta anche risposte di questo genere. Persone nel corso degli anni hanno scritto e scrivono anche oggi per confidare la loro situazione di vita. Ma anche le cose belle che capitano. Un’impronta significativa l’ha data don Giuseppe Zilli, rendendola un dialogo molto schietto con i lettori. Ricordo un episodio in cui mandò una lettera una ragazza che voleva abortire, raccontando la sua solitudine e i suoi problemi. 

La risposta di don Zilli fu lapidaria: “Lo faccia questo bambini e me lo porti qui”. Poi in effetti il bambino è nato e la ragazza è venuta con la carrozzina qui a farglielo vedere. Lui aveva la capita di entrare in sintonia con chi scriveva. E, con risposte dirette, riusciva a interagire in maniera straordinaria con i lettori.

 

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