Il dibattito è quantomai aperto e sarebbe del tutto negativo ridurlo ad una sorta di richiesta di spazi, o di mendicare ruoli o, peggio ancora, di intestardirsi a ritagliarsi una funzione che non trova riscontro. Ma, al di là delle legittime posizioni e del vasto, radicato e massiccio pluralismo che ormai caratterizza da decenni le scelte concrete e politiche dei cattolici italiani, un dato è indubbio: la cosiddetta “questione cattolica”, seppur in forma diversa e più articolata rispetto ad un passato anche solo recente, ha nuovamente fatto irruzione nel dibattito pubblico del nostro paese.
Ora, senza entrare nei dettagli di una discussione che è appena agli inizi, credo sia utile richiamare almeno tre aspetti che, almeno a mio giudizio, non possono essere semplicisticamente aggirati.
Innanzitutto, e al di là delle buone intenzioni dei vari proponenti, il tempo per dar vita ad una sorta di Democrazia Cristiana bonsai è alle nostre spalle. Scrivevo in una precedente riflessione che dopo l’esperienza di Andreotti e D’Antoni nel lontano 2001 con “Democrazia Europea”, si sono succeduti circa una sessantina di tentativi a livello nazionale e a livello locale finalizzati a dar vita a nuovi partiti, nuovi soggetti politici e nuove sfide elettorali. Tutti, purtroppo o per fortuna, puntualmente falliti. Almeno a livello elettorale. Perché quasi tutti accomunati dal fatidico 0,5/1% dei consensi. Gli ultimi due potenziali partiti nati nelle ultime settimane avranno un epilogo diverso? Può darsi, ma se il buongiorno si vede dal mattino non c’è da essere particolarmente ottimisti su un esito politico ed elettorale diametralmente opposto rispetto alle decine di nobili e disinteressati tentativi sperimentati negli ultimi anni.
In secondo luogo, piaccia o non piaccia, il consenso che il centro destra – e nello specifico il progetto leghista incarnato da Salvini – registra tra i cattolici praticanti e non, è massiccio e trasversale. Un consenso che potremmo definire antico perché, dalla fine della Democrazia Cristiana in poi, proprio il contenitore del centro destra ha registrato una vasta e convinta adesione politica ed elettorale di settori consistenti del cosiddetto mondo cattolico italiano. Ricordato ancora recentemente in una importante intervista rilasciata dal cardinal Camillo Ruini al Corriere della Sera. Un consenso che, molte volte, prescinde anche dalla concreta e quotidiana predicazione della Chiesa italiana.
Ecco perché, in ultimo luogo, se si vuol dar voce, oggi e non ieri, spessore e consistenza alla cultura cattolico democratica, cattolico sociale e cattolico popolare, non si può non prendere in seria consolidazione quei partiti “plurali” – almeno così si definiscono – che vivono in virtù della pluralità culturale che li contraddistingue. E il Pd rientra a pieno titolo in questa dimensione e in questo impegno. Purché siano chiare due condizioni. La prima è che quest’area sia più visibile e più unita, pur senza chiudersi in una ristretta ed esclusiva enclave. Paraconfessionale. E, in secondo luogo, che il gruppo dirigente del Pd creda sino in fondo in questa prospettiva plurale e che valorizzi, di conseguenza, la ricchezza e la fecondità politica, culturale, ideale, sociale e programmatica di questa pluralità. Come, ad esempio, sostiene un autorevole dirigente come Goffredo Bettini.

Questo, forse, è un impegno concreto per i cattolici democratici e popolari nell’attuale contesto politico italiano. Pur nel rispetto di tutte le altre esperienze e di tutti gli altri tentativi che puntano a ridare dignità, presenza e autorevolezza alla cultura politica dei cattolici italiani. Perché oggi è così, domani chissà…. Essendo la politica, soprattutto quella italiana, per sua natura in continua evoluzione e in perenne mutamento. A volte persin troppo rapido, smodato e confuso.