I dubbi di Ferrara sulle elezioni capitoline

Mentre la campagna elettorale entra nel vivo con la presentazione delle liste, il fondatore del Foglio manifesta la sua incertezza tra i due candidati, Calenda e Gualtieri, che si dividono i voti del centro sinistra.

 

Lucio D’Ubaldo

 

Che fare tra Calenda e Gualtieri? Una volta tanto Giuliano Ferrara ha dismesso l’abito del predicatore, sempre sicuro di un giudizio o di un’opzione, per confessare invece nel tradizionale editoriale sul Foglio del lunedì le sue incertezze di coscienza.

 

Il cuore batte senza dubbio per Calenda, e non da oggi; batte per il programma più chiaro e dettagliato, e anche più coraggioso; un programma, in effetti, espressivo di una spigliata volontà riformatrice, di cui l’ex ministro di “industria 4.0” si vanta con la consueta spavalderia. E finanche con un eccesso di sicurezza molto somigliante alla sfrontatezza.

 

Questo dice il cuore, ma la mente? Ecco, Ferrara non nasconde che la ragione obbliga a valutare con scrupolo la maggiore forza d’urto della candidatura del centro sinistra. Gualtieri può far leva su una coalizione che sconta limiti e difetti, ma promette verosimilmente, anche in virtù della sua ampiezza, di agganciare Michetti in un probabile testa a testa per la vittoria al primo turno.

 

Fin qui nulla di straordinario, appartenendo l’analisi a quel grande capitolo di “scienza elettorale applicata”, perlopiù rintracciabile nel diffuso sentire della pubblica opinione, per la quale esiste, nel tempo della secolarizzazione della politica, la necessità o l’opportunità del cosiddetto voto utile. E chiaramente l’utilità consiste nel fare di tutto per evitare che al ballottaggio vadano la Raggi e Michetti. Ebbene, nell’editoriale questo nodo problematico si presenta in tutta la sua complessità. Di fatto è un nodo che Ferrara non scioglie, quasi volendo accarezzare a dispetto di ogni evidenza le “ragioni del cuore”, quelle cioè che innervano la sfida alla fredda logica della convenienze.

 

È la classica sospensione del giudizio, pur nel timore di doversi ritrovare nella gabbia di una dialettica Gualtieri-Calenda, bella quanto si creda ma destinata, in ultima istanza, a indebolire entrambi i contendenti. Dunque, cacciata dalla porta, la teoria del voto utile rientra dalla finestra. In effetti, ogni preferenza guadagnata da Calenda rappresenta un punto in meno per Gualtieri. In sostanza il vecchio bacino elettorale di centro sinistra si divide, come appunto si constata, senza che poi le due parti separate abbiano la forza di sprigionare una specifica autonoma e aggiuntiva capacità di attrazione, ciascuna auspicabilmente nella propria sfera di influenza.

 

Il problema riguarda più che mai Gualtieri, se solo si considera che il suo schieramento, articolato in funzione del “pieno a sinistra”, non prospetta al momento quel tanto di espansione al centro, di cui per contro si avrebbe assoluto bisogno per assorbire il voto in uscita verso Calenda. In realtà, Gualtieri non si attesta nei sondaggi molto al di sopra di Roberto Giachetti, il candidato che nel 2016 portava a casa un modesto 25 per cento, scontando però la concorrenza di Fassina. Un fatto, questo, che nell’attuale competizione per il Campidoglio non si ripropone. Bisogna allora ritenere che qualcosa disturba l’azione del Pd, rendendola poco trainante nel processo di mobilitazione del centro sinistra.

 

In conclusione, i dubbi di Ferrara sono destinati a rimanere basculanti assai, in attesa di evoluzioni.