A pochi giorni dalla scomparsa di un grande leader cattolico popolare, Franco Marini, che ha  contribuito a segnare anche la storia travagliata ma esaltante del cattolicesimo sociale nel nostro  paese, non possiamo non farci una domanda. Almeno noi, cioè tutti coloro che sono approdati  all’impegno politico attraverso un lungo “apprendistato” culturale nel solco della tradizione  cattolico democratica, popolare e sociale.  

Ovvero, nessuno pone il tema sulla cosiddetta “eredità” – o gli eredi – di questi grandi leader  cattolico popolari del passato che hanno segnato in profondità lo stesso cammino della  democrazia italiana ma, molto più modestamente, ci si ferma sul rischio di non contribuire, oggi, e  seppur inconsapevolmente, allo sgretolamento progressivo di quella nobile tradizione politica,  culturale, ideale, di governo e forse anche etica. In altre parole, com’è possibile che, dopo aver  frequentato quei luoghi, dopo aver “imparato” e metabolizzato molti insegnamenti funzionali poi  alla militanza e all’impegno politico diretto nei partiti di riferimento e nelle istituzioni, ci sia poi  stata una sostanziale dispersione di quel ricco e fecondo patrimonio? In discussione, come ovvio,  non c’è il problema dei presunti “eredi” di quelle grandi personalità. Come tutti sappiamo,  semplicemente non esistono eredi. E quelli che si autocandidano ad esserlo non sono che  parentesi comiche e anche un po’ patetiche. Quello che, invece, resta al centro della riflessione è  come sia possibile che i nostri grandi punti di riferimento, i nostri veri leader che con la loro  azione, il loro coraggio e la loro cultura hanno segnato e caratterizzato nelle diverse fasi storiche  la vita politica italiana non trovino oggi una concreta prosecuzione nella cittadella politica italiana.  

Se non riusciamo a dare una risposta concreta, seria e credibile a questa domanda e a questa –  purtroppo – perdurante latitanza, noi corriamo il rischio, sempre più tangibile, che non solo non  avremo più eredi – il che, francamente, è un fatto ormai largamente acquisito – ma, soprattutto,  non riusciremo più neanche a farci portatori ed interpreti di quella cultura nella società  contemporanea e nella politica attuale. 

E se a questa domanda non verrà data una risposta credibile e necessariamente rapida, la  tradizione e la cultura del cattolicesimo democratico, popolare e sociale si ridurrà inesorabilmente  a puro esercizio nostalgico o al massimo ad un approccio agiografico. Non credo che sia questa  la prospettiva o l’auspicio dei tanti amici cattolici democratici e popolari che continuano,  giustamente, a individuare nel magistero dei grandi leader del passato, e non solo, un faro che  continua ad illuminare anche oggi la presenza pubblica di quella tradizione e di quella nobile  corrente ideale.  

In ultimo, non possiamo permetterci il lusso di limitarci solo a celebrare questi grandi leader che,  per molti di noi, sono stati anche autentici amici nonchè veri “educatori” alla politica concreta e  alla vita pubblica. Lo dobbiamo alla nostra cultura, alla nostra tradizione e al nostro modo  d’essere in politica e nella società. Ma lo dobbiamo anche a loro, ai nostri leader e compagni di  viaggio per molto tempo. A cominciare proprio da Franco Marini che, con il suo coraggio, la sua  determinazione, la sua coerenza e il suo pragmatismo è riuscito a testimoniare con forza, e per  molti anni, i valori e i principi del cattolicesimo sociale e popolare nel sindacato, nella politica e  nella società italiana.