I “nuovi cattolici” nell’analisi di Damilano: dove vanno politicamente? Basta il Pd o serve altro?

La ricognizione ad ampio raggio dell’ex direttore dell’Espresso mette in luce il rinnovato protagonismo dei cattolici nella società italiana. Questa spinta prima o poi esige uno sbocco politico.

Sul “Domani” è apparso ieri un lungo e ricco resoconto di ciò che agita e sostiene l’impegno dei cattolici in Italia. Lo ha scritto l’ex direttore dell’Espresso, Marco Damilano, che unisce la capacità di maneggiare la storia del cattolicesimo politico e cogliere le novità, con lo spirito del cronista e del saggista, per capire l’evoluzione della sinistra, in particolare di una sinistra che in altri tempi si sarebbe definita inquieta. Tutto ciò che si muove, increspa il mare delle idee, trasferisce energia dal pensiero all’azione, viene costantemente aggiornato e ricomposto nel caleidoscopio del giornalista concentrato sulle oscillazioni della politica.

Cosa viene fuori dall’incursione di Damilano nel mondo variegato del cattolicesimo democratico e sociale? Basta leggere le conclusioni per rintracciare il filo rosso della sua elaborazione analitica: “I cattolici si sono ritrovati, come tutti gli altri italiani, con una politica senza società e una società senza politica. Così è appassita la «bellezza della democrazia», come la chiama Zuppi, don Matteo”. Non deve ingannare l’apparente pessimismo giacché la lente dell’investigatore ha messo in evidenza la ripresa di un fermento che genera una iniziativa molecolare, diffusa, penetrante; un fermento, cioè, che il vecchio Maritain aveva intravisto e caldeggiato sulla scia del Concilio parlando, a proposito dei cristiani impegnati nella società, di “minoranze profetiche di choc”.

Il problema è capire come si ricompone questo mosaico di esperienze nuove – ognuna però con antecedenze e collegamenti esplicativi di una  tradizione ancora viva – che oggi lo spontaneismo della testimonianza può anche isterilire. Che opere buone di credenti siano ben accolte e rispettate, non appare in discussione; che alcune personalità lascino il segno – basti pensare a David Sassoli -, nemmeno questo viene messo in dubbio; ma che di per sé, in mancanza di una qualche tensione unitiva, le variegate forme di rinascita mantengano l’eterna fragilità e incompiutezza del cosiddetto cristianesimo sociale, anche questo o soprattuto questo non dovrebbe essere ignorato. 

Il discorso ha le sue increspature, non sempre facili da trattare, perché coinvolge subito la politica e quindi la “forma partito” che dovrebbe riconoscere e valorizzare l’apporto dei cattolici d’oggi, certamente con tutta la loro rinnovata sensibilità civica. Esiste già questo luogo di rappresentanza, grosso modo nel perimetro di un Pd fortemente comprensivo in origine degli idola specus del popolarismo, oppure se ne avverte l’assenza, quanto meno la debolezza intrinseca, da cui nasce l’insoddisfazione? Dentro l’astensionismo e la frammentazione politica c’è di tutto, a buon conto anche questa contagiosa sensazione di disagio. Ci sono segnali che vanno raccolti. D’altronde, la pura registrazione dei fenomeni a lungo andare è destinata a perdersi nel sociologismo. E in effetti, ogni manifestazione di effervescenza e creatività ha bisogno di una formula di ricomprensione che chiama in causa la politica, essendo  propria della politica la responsabilità del lavoro di sintesi generale. Hic Rhodus…

 

 

Il ritorno dei cattolici in politica