Dunque, pare proprio che sia sempre più difficile avere una via di mezzo. Parliamo del futuro dei  partiti politici, o meglio di ciò che resta di loro. Per essere ancora più precisi, o ci troviamo di  fronte a “partiti del capo” o del “guru” dove tutto il partito o il cartello elettorale si identifica  fideisticamente e dogmaticamente con il suo capo oppure a partiti dominati dal più sfrenato ed  intransigente correntismo. È persin inutile citare gli uni e gli altri talmente è risaputa e nota la  questione. La domanda che emerge è una sola: ma è ancora possibile ricavare una sintesi tra  queste due estremità? Perchè nè l’una e nè l’altra possono rappresentare dei modelli duraturi. E  questo perchè nel “partito del capo” il dibattito politico è semplicemente un optional, se non  addirittura un diversivo. Tutto è concentrato sul verbo del capo e, puntualmente, quando la stella  del capo non si illumina più, il partito – o meglio, il cartello elettorale – crolla rapidamente e senza  appelli. Anche qui i casi sono talmente noti che è persin inutile elencarli scolasticamente. Certo, in  questa esperienza la politica, di fatto, non esiste. Tutto è legato al tasso di popolarità e di  credibilità del capo. Il caso di Renzi, al riguardo, è persin troppo emblematico. Sia nella sua  esperienza all’interno del partito democratico e sia, soprattutto, nel suo attuale partitino di Italia  Viva. Perchè quando si viene percepiti, per svariate motivazioni, come un politico che non è più  sinonimo di credibilità, affidabilità e serietà, il castello si sgonfia rapidamente ed irreversibilmente. 

Diverso è il caso dei partiti ad alto tasso di correntismo. Il caso del Pd è persin troppo  emblematico per essere ulteriormente descritto. Vedremo se la “cura” Letta avrà successo. Per il  momento non possiamo non prendere atto che dopo il “Pdr”, cioè il partito di Renzi per dirla con  Ilvo Diamanti, è subentrato un partito fatto da correnti, sottocorrenti, bande e gruppi vari che  scorrazzano e spadroneggiano nel partito. A livello nazionale come a livello periferico. Qualcuno  paragona questo strano modello a quello praticato per molti anni in un altro grande popolare e di  massa, la Dc. Nulla di più falso. Nella Dc, come credo quasi tutti sanno tranne i detrattori storici  della sinistra italiana, le correnti – salvo rare eccezioni, come ovvio e scontato – rappresentavano  pezzi di società ed erano guidate da leader politici e da statisti. Nulla a che vedere, quindi, con le  molteplici e crescenti correnti e sottocorrenti del Pd. 

Ma, al di là delle concrete dinamiche interne ai partiti, quello che semmai va introdotto nella  politica italiana dopo il lento tramonto del populismo di marca grillina, è da un lato la  conservazione del pluralismo interno ai partiti senza degenerare nell’anarchia del correntismo  sfrenato e, dall’altro, coltivare e rafforzare le leadership politiche senza appaltare al capo di turno  le sorti dell’intero partito. Sarà possibile compiere questo “miracolo” laico senza ulteriormente  indebolire la democrazia e ridurre la “democrazia dei partiti” ad una scarna ed arida “democrazia  delle persone”? Al di là delle chiacchiere, degli statuti e dei regolamenti, adesso servono solo i  comportamenti. Quei comportamenti che sono tanto più credibili quanto sono meno sbandierati.  Cioè servono più moralizzatori e meno moralisti, per dirla con Carlo Donat-Cattin.