In Italia, la pandemia di coronavirus sta aumentando le preoccupazioni sulla sfida demografica. 

Mentre il paese cerca di riprendersi dalla terza ondata, si teme che questa ultima battuta d’arresto per la salute pubblica possa indebolire ulteriormente l’entusiasmo nell’avviare una famiglia:

Molti infatti sono gli aspiranti genitori  preoccupati per le sbiadite prospettive economiche dell’Italia. 

Questo sentimento si traduce in numeri che non lasciano adito a molte interpretazioni.  Le nascite sono diminuite del 10% a dicembre 2020, rispetto a dicembre 2019.

Inoltre le morti del 2020 superavano le nascite di 340.000 unità, portando ad una diminuzione della popolazione pari a 384.000 persone. 

È come perdere in un anno l’equivalente della popolazione di Firenze. 

Nel borgo di Fascia in Liguria, ufficialmente il borgo più antico d’Italia per età media, a marzo è nato un bambino. È stata la prima nascita in 23 anni.  

I demografi attribuiscono questa tendenza in parte al fatto che l’Italia è stata particolarmente colpita dalla prima ondata di pandemia rispetto ad altri paesi europei. Ma notano anche che il calo della natalità in Italia ha un retroscena più lungo e complesso. 

Francesco Billari, professore di demografia all’Università Bocconi e presidente dell’Associazione italiana per gli studi sulla popolazione, ha indicato una tendenza generale nel mondo sviluppato: man mano che i paesi diventano più ricchi, il numero medio di bambini in ciascuna famiglia diminuisce. 

Ma una volta che un paese raggiunge un certo livello di prosperità, questa tendenza può invertirsi. Basti vedere l’esempio della Svezia e della Danimarca,.

Un forte investimento, negli anni, del governo in reti di sicurezza sociale e servizi per la prima infanzia, ha reso meno impegnativa la creazione di una famiglia.

Anche la cultura è importante. In Italia e in un certo numero di altre società mediterranee, il ruolo centrale svolto dalla famiglia ha portato i governi ad adottare un approccio più diretto al welfare e consentire alle famiglie di colmare le lacune. 

Ciò significava una relativa mancanza di sostegno finanziario da parte dello Stato per i giovani rispetto al Nord Europa, dove i governi sono intervenuti per aiutare concretamente i genitori durante la crescita dei loro figli. 

Inoltre, secondo gli esperti, il lento approccio dell’Italia all’uguaglianza di genere e la scarsa partecipazione femminile alla forza lavoro sta contribuendo alla sfida demografica in atto. Solo il 53% delle donne italiane adulte lavora, rispetto alla media UE del 67%.