IL 1959 A MILANO, TRA STRIPTEASE E POLITICA

Per il centrosinistra è l'anno della svolta. Il ruolo di Ezio Vigorelli

Articolo già pubblicato da Arcipelago Milano a firma di Walter Marossi 

La prima giunta di centrosinistra milanese è del gennaio 1961 ma in realtà la svolta avvenne nel 1959. In quei mesi la città sembrava più interessata ai manifesti ammiccanti “Parigi arriva a Milano”; il Teatro alle Maschere di via Borgogna 7, sala da 158 spettatori dei quali 53 seduti, stava infatti per abbandonare una economicamente difficile programmazione dedicata agli atti unici (ricordiamo quelli di Carlo Terron, Luigi Pirandello, Umberto Simonetta, Rosso di San Secondo, Peppino De Filippo, Giovanni Mosca) per introdurre la si suppone ben più remunerativa Rita Renoir star parigina dello striptease con cachet da 80.000 lire a serata; l’annuncio però allerterà i solerti censori della questura che imporranno l’assoluta obbligatorietà di mutandine e reggiseno, rovinando le attese dell’affollata platea di giornalisti e flaneur.

Parigi arriverà effettivamente a Milano pochi mesi dopo con il più vestito generale De Gaulle in visita per celebrare l’anniversario della battaglia di Magenta, il presidente dormirà in prefettura e pasteggerà a Villa Comunale (menu tristanzuolo: cocktail di gamberi, flan di verdure, petti di pollo con crema di funghi, gelato al limone ma con una perla, lo storione del Po in bellavista). A ricevere De Gaulle il presidente Giovanni Gronchi, il premier Antonio Segni, i presidenti di Camera e Senato e un interminabile stuolo di autorità tra cui il sindaco Virgilio Ferrari, la cui giunta è nel pieno della bufera. Nel gennaio infatti la sinistra socialdemocratica aveva deciso di lasciare il Psdi fondando (l’8 febbraio) il Muis, Movimento Unitario di Iniziativa Socialista. Tra gli scissionisti due dei suoi più importanti assessori i socialdemocratici Aldo Aniasi, e Lamberto Jori, che lasciano le rispettive cariche passando all’opposizione.

Scrive Enrico Landoni: “Aniasi rassegnò le dimissioni dall’incarico di assessore all’Economato ricoperto all’interno della Giunta Ferrari, accusando il Sindaco e la coalizione centrista che sosteneva la sua amministrazione, di aver colpevolmente anteposto le ragioni di partito alle vere istanze della città. A suo avviso, il Psdi e la Dc avevano commesso un grave errore nell’impedire al Psi, disposto a condividere gli obiettivi programmatici definiti dalla giunta allora in carica, di entrare a far parte della maggioranza organica del consiglio comunale. Iso era convinto del fatto che socialisti e democristiani fossero pronti ad elaborare insieme un’articolata piattaforma programmatica, che avrebbe certamente potuto incontrare il consenso di altre forze democratiche e progressiste, rappresentando un importante modello di riferimento anche su scala nazionale. Per questo è possibile affermare che le svolte politiche consumatesi a Milano anche per effetto del significativo contributo di Aniasi ebbero un indubbio valore nazionale.” Con Aniasi sono altre figure importanti del riformismo milanese e nazionale (che il primo maggio 1959 aderiranno al Psi): Corrado Bonfantini, Ugo Faravelli, Matteo Matteotti ma sopratutto uno dei grandi protagonisti della vita politica cittadina, Ezio Vigorelli.

Nato nel 1892, avvocato, era entrato nel consiglio comunale milanese nel 1922 per la lista dei socialisti unitari assieme a Turati, Treves, Caldara, Gonzales, Mondolfo, D’Aragona, Nino Levi, Paolo Pini, Osvaldo Maffioli, Giovanni Forlanini, Antonio Mascheroni, Cesare Marangoni, Pietro Mentasti, Carlo Raule (e scusate se è poco). Volontario nella prima Guerra mondiale, invalido e decorato di guerra, condusse subito una battaglia a Palazzo Marino ricordando “come la trincea avesse tutto eguagliato al di sopra delle classi e delle tessere e come ora il partito di dominante smentisca tutto ciò”, suscitando le ire dei conservatori che infatti al corteo commemorativo del 4 novembre del 1923 gli impediscono di partecipare perché, come scrisse un quotidiano, le intenzioni con i quali i socialisti intendevano partecipare “bastano da sole a giustificare le legnate fasciste”.

Nel 1923 la Giustizia, organo del partito di Matteotti, scrive che Roberto Farinacci era stato un imboscato. Il gerarca querela il giornale e sfida a duello l’autore, per l’appunto l’autodenunciatosi Vigorelli che attenderà invano i preannunciati padrini. Il tribunale assolve il giornale difeso da Enrico Gonzales dal reato di diffamazione e per reazione le squadracce lo assaltano il 9 dicembre 1923. Gli avvocati socialisti milanesi diventano la bestia nera dei fascisti e vengono più volte aggrediti. Durante il ventennio, Vigorelli, che viene sottoposto a vigilanza speciale e per due volte incarcerato a San Vittore, ricercato, dopo l’8 settembre si rifugia con la famiglia in Svizzera. I figli Bruno e Fofi rientrano in Italia per combattere tra i partigiani nella Divisione autonoma “Valdossola”; entrambi moriranno nel giugno 1944 durante un rastrellamento nazista. Fofi è medaglia d’oro al valor militare, Bruno d’argento. Anche Vigorelli torna in Italia nel settembre 1944 per assumere l’incarico di “ministro della Giustizia” della Repubblica partigiana dell’Ossola.

Nel dopoguerra eletto alla Costituente per i socialisti, è vicino alle posizioni del sindaco Greppi, ergo nel gennaio del 1947, con la scissione socialista, aderisce ai socialdemocratici, presiedendone sino al 1950, il Gruppo parlamentare e assumendo incarichi di governo: sottosegretario alle pensioni di guerra nel V governo De Gasperi e ministro del Lavoro e della Previdenza sociale nel primo Segni, nel governo Scelba e nel secondo governo Fanfani, ministero dal quale appunto si dimise nel gennaio del1959 per passare all’opposizione.
L’occasione gli fu fornita dai risultati assolutori (su proposta di Saragat), per un voto, della commissione d’inchiesta sullo “scandalo Giuffrè”, il cosiddetto banchiere di Dio che aveva truffato istituzioni e singoli cittadini, nel quale erano coinvolti (poi scagionati) il suo compagno di partito Luigi Preti e Giulio Andreotti. Le sue dimissioni portarono a quelle di Fanfani da presidente del consiglio e da segretario della Dc ed al secondo governo Segni (Dc-Pli). Insomma inizia la lunga agonia del centrismo e l’avvio della fase preparatoria del centro sinistra, soprattutto di quello milanese che precederà di anni quello nazionale.

Alle elezioni comunali milanesi del 1960 tra gli eletti della lista Psi, oltre a Vigorelli (con 7.000 preferenze) e a Guido Mazzali (con 9.000), troviamo Aldo Aniasi (4.628), il giovane Bettino Craxi (con 1.000 preferenze) e i radicali Eugenio Scalfari (con 3.500 preferenze) ed Elio Vittorini (ultimo); in pratica, come agli inizi del secolo, il gruppo consiliare è a schiacciante maggioranza riformista, anzi come si diceva allora autonomista/nenniano (le sinistre interne ebbero un solo eletto, Walter Alini). L’ingresso di Vigorelli e Aniasi ha cambiato gli equilibri, per sempre. Con i risultati elettorali e i nuovi equilibri politici interni a Dc e Psi la maggioranza centrista a Palazzo Marino non era più possibile.

Di Vigorelli si parlò, in quella come in altre occasioni, come ipotetico sindaco ma a sostituire Ferrari, in quella che sarà la prima giunta di centrosinistra in Italia (1961), fu non senza polemiche il socialdemocratico e presidente dell’Accademia dei Lincei Gino Cassinis (ex rettore del Politecnico), considerato insieme esempio di continuità (era stato assessore alle municipalizzate) e di rinnovamento perché più a sinistra dell’uscente.

Il mite Ferrari, perfetto esempio di understatement (morì alla Baggina e su Wikipedia nell’elenco dei sindaci milanesi è l’unico ancor oggi senza foto), il medico dei poveri, arrestato per aver favorito la fuga di Turati in Francia, ebbe forse l’unico scatto della sua vita e dichiarò: “Io antifascista che sono stato in campo di concentramento, cedo il posto a chi è stato nominato rettore durante la repubblica di Salò”. Cassinis ebbe diversi “franchi tiratori” e alle opposizioni interne Dc fu dato il contentino di non reiterare il centrosinistra alla provincia, mentre il Pci cossuttiano (ma allora era sinonimo di moderato), pur esprimendo giudizi non del tutto negativi sul programma, votò per un altro socialista: Antonio Greppi.
Oggi Vigorelli come tutta una generazione di riformisti del dopoguerra, in particolare quelli del Psdi, è dimenticatissimo, ma merita di essere “riscoperto” non per il suo impegno politico, ormai quel mondo interessa solo agli storici e a pochi aficionados tra cui voi che leggete, quanto per essere stato il teorico del welfare italiano, affrontando questioni ancora oggi irrisolte, vedasi il reddito di cittadinanza.

 

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