Sono passati cinquant’anni da quel primo dicembre 1970 quando il Parlamento diede il via libera alla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio (legge 898). Per la ricorrenza riportiamo la parte conclusiva dell’intervento di Giulio Andreotti, all’epoca capogruppo della DC alla Camera. Stralcio dal quale si evince la posizione ferma e compatta della Democrazia Cristiana, che pur avendo combattuto per il no al divorzio, si schiera a difesa di uno dei pilastri della nostra convivenza civile: il Parlamento con tutte le sue prerogative e responsabilità..

Noi non facciamo il conto dei voti. Non prenderemo come nostra una frase che disse un deputato caro a tutti noi, l’onorevole Targetti quando nel 1950 si discuteva la legge che il guardasigilli, il liberale onorevole Grassi, aveva presentato alle Camere per porre fine a quella che veniva chiamata «la mecca dei divorzisti», cioè la delibazione facile presso la corte d’appello di Torino.

L’onorevole Targetti, commentando un voto del Senato, con il quale il non passaggio agli articoli era stato bocciato con 145 voti contro 121, disse: «Colleghi, ben 121 voti hanno espresso questo atteggiamento, pensateci!». Lo scarto che si è avuto al Senato ed anche qui alla Camera comparativamente non è certo maggiore.

Dovremmo dire: pensateci! Modificare leggi cosi fondamentali per il nostro paese con un colpo di maggioranza è giuridicamente lecito, e noi lo rispettiamo; noi difenderemo le decisioni del Parlamento come nostro obbligo. Guai se fosse diversamente. E abbiamo sempre protestato quando abbiamo sentito parlare da qualcuno dell’opposizione — rivolto a noi — di «vostro Governo» o di «vostre leggi».

Le leggi che escono da quest’aula sono le leggi del Parlamento italiano e noi le difenderemo, salvo a far ricorso a ciò che, nelle vie che il nostro ordinamento giuridico e la nostra Costituzione prevedono, può essere fatto per rivederle, o salvo le istanze costituzionali cui mi sono prima riferito.

Noi le difenderemo perché difendendo il meccanismo parlamentare difendiamo uno dei fondamenti della nostra convivenza civile. Non potrei però chiudere questo mio discorso, in parte frammentario e non molto ordinato, data anche l’ora, senza dire, onorevole Ballardin, che noi già ieri l’altro eravamo rimasti alquanto amareggiati per la enunciazione, contenuta nella dichiarazione di voto dell’onorevole Bertoldi, di un tipo di valorizzazione dell’autonomia del Parlamento che non può essere paradigmatamente preso come ideale.

No! Il Governo, legittimamente, per far approvare non un qualcosa che interessasse la Democrazia Cristiana, ma per far sì che fosse approvato il decreto-legge economico-finanziario ritenuto necessario per la nostra economia e per l’avvio delle nostre riforme, è dovuto venire qui, al momento giusto, quando questo era pacificamente sentito non come alterazione dei nostri equilibri ma come una necessità, oserei dire, tecnica (qui dentro quasi mai si tratta di problemi soltanto tecnici) con le sue artiglierie del voto di fiducia.

Oggi noi vediamo la <<pattuglietta>> temporanea di un Governo che si deve rimettere all’Assemblea; <<ma questa deve essere una eccezione>>. Quello che noi vogliamo come vitalità del Parlamento, come dialogo, come partecipazione di tutti noi alla formazione delle leggi e delle decisioni non esclude il Governo: noi vogliamo che possa essere arricchita, da questo lavoro dell’Assemblea, l’esperienza e la posizione del Governo.

Siamo stati anche spiacevolmente colpiti da alcune altre frasi che sono state dette, ma — me lo consenta, onorevole Ballardin (non voglio assolutamente più polemizzare con l’onorevole Bertoldi) — ella ha detto cose che a me sembrano molto gravi e che noi non accettiamo. Ella ci ha detto che la Democrazia Cristiana è capace solo di guidare, di seguire — lo ha detto anche come un augurio — la crescita del popolo italiano.

Ebbene, noi non accettiamo questa valutazione che è stata data del ruolo della nostra parte politica. Voi oggi legittimamente, dal vostro punto dl vista, innalzate la bandiera di una vittoria cui date il nome di «riforma», una vittoria che porta Il vostro sigillo.

Ma lasciate che vi diciamo che siamo stati più orgogliosi di fare senza di voi nel 1950 — In attesa di poter fare con voi e con gli altri partiti governativi altre serie riforme — quella riforma agraria che non otteneva, come ottiene questa vostra riforma di oggi, gli applausi  di un certo tipo di alta borghesia che sta aspettando, forse senza molta preoccupazione dell’ora, perché non deve andare a lavorare questa mattina, l’epilogo di questa nostra discussione.

La mia conclusione è questa. Vi è stata una alterazione di posizioni. Se è vero, come è vero, che un anno fa l’onorevole Fortuna, commentando (ovviamente, lieto) l’approvazione data dalla Camera al suo progetto di legge, diceva: «Non si tratta di un progetto di legge sul divorzio, è solo un modo di regolare alcuni casi», è vero anche che nella discussione successiva non soltanto non si è più parlato di «regolare alcuni casi», ma si è esaltata l’introduzione del divorzio nel nostro ordinamento, come una conquista che porrebbe il nostro paese sullo stesso piano delle altre nazioni civili; si è parlato — con una retorica che veramente credevamo superata — addirittura dl una seconda breccia di Porta Pia. Tutto questo durerà (possiamo ben dirlo) lo spazio di un mattino.

Quello che conta è che i dati positivi che sono emersi da questa discussione, ed in parte anche da quella che l’ha preceduta, non vengano dispersi, onorevoli colleghi, perché il nostro compito non è quello di ricercare ciò che ci divide, ma è quello di ricercare ciò che, su linee chiare di una politica democratica, ci possa unire.

Noi sentiamo che questo è il nostro dovere. Potremo essere criticati per non aver saputo far meglio in questa vicenda, ma nessuno ci potrà mal criticare per non aver difeso o per avere attentato alla limpida funzionalità delle istituzioni parlamentari.