Il “bivio” innanzi al quale si trova l’Unione Europea è ormai chiaro a tutti gli analisti, gli osservatori, le persone minimamente interessate al tema: o si svolta verso una più forte integrazione fra le nazioni del continente o si gira dalla parte opposta e si abbandonano 70 anni di storia comunitaria. Non tutto avverrà in un momento, il cammino richiederà un certo lasso di tempo ma è la direzione quella che conterà, proprio come quando si imbocca un sentiero piuttosto che un altro durante una passeggiata in montagna.

Siamo al “bivio”, dunque. E ci siamo arrivati un po’ più presto di quanti in molti si immaginasse a causa di un evento imponderabile (o forse no?…) e drammatico che ha sconvolto (non sappiamo, a oggi, per quanto tempo ancora) il modo di vivere di una larga parte della popolazione del pianeta. Anche la velocità con la quale si affronterà la strada, in una direzione o nell’altra, assai probabilmente sarà più intensa di quanto non ci si possa immaginare. I cambiamenti, in primo luogo psicologici, indotti dalla pandemia (a meno che essa non declini rapidamente, al momento più una ottimistica speranza che una ragionevole certezza, purtroppo) comporteranno un passo più rapido, ritmato da popoli convinti della propria scelta invece che cadenzato, “lento e corto” come quello del montanaro che dosa le energie per esser certo d’arrivare alla vetta, il passo che è stato sino ad oggi – intervallato da frequenti pause, peraltro – della Comunità Europea.

Il punto è decisivo proprio per questo. Se chi traccia il cammino appare incerto e poi finanche diviso circa il sentiero da prendere inevitabilmente farà crescere l’opinione di quanti – fra quelli che dovrebbero seguire – ritengono che forse sarebbe meglio cambiare la guida. Fuor di metafora: nelle nostre moderne democrazie la delega popolare affidata alla politica nel medio periodo esige da quest’ultima scelte di indirizzo chiare, precise. La scelta atlantica del Governo italiano nel secondo dopoguerra fu netta, ad esempio. Altri tempi, i tempi delle ideologie e della contrapposizione frontale fra i blocchi, si dirà. Certo. Ma se ci si pensa bene, se ci si riflette con attenzione anche oggi la scelta fra una UE più integrata politicamente e una sostanziale retromarcia verso il predominio degli Stati non è affatto da meno. Perché si porta dietro le modalità e le possibilità con le quali affrontare il confronto tecnologico, commerciale, industriale nel mondo del XXI° secolo: un mondo che la sempre più impellente questione ambientale e, ora, anche l’epidemia virale si incaricano di segnalarci essere unico per tutto il genere umano. Servono progressive azioni unitarie, su questo pianeta. Non impulsive regressioni divisive.

Eppure è proprio questo che sta accadendo. La recrudescenza nazionalista coinvolge Paesi importanti e grandi, dagli Stati Uniti di Trump all’India di Modi, dalla Russia di Putin alla Cina di Xi. E ora avanza in Europa: dalla Gran Bretagna di Johnson all’Ungheria di Orban, i due estremi di una Unione abbandonata, nel primo caso, e forse da abbandonare, nel secondo.

In un simile scenario è allora evidente che serve uno scatto, un colpo d’ali senza del quale il destino, a me pare, è segnato: spinto dalle convulsioni prodotte dalla crisi nel corpo popolare lo zeitgeist, lo “spirito del tempo” come altre volte nella Storia condurrà i popoli europei nella direzione sbagliata, quella della divisione e del conseguente conflitto interno a un continente che si scoprirà essere – disunito – non più in grado di occupare un ruolo di rilievo nel mondo.

Brexit ieri, la Corte Costituzionale tedesca oggi inducono al pessimismo. Eppure, basta ascoltare le banalità salviniane emanate via social per rendersi conto che non si può rimanere inerti di fronte al rischio della catastrofe.

Ed allora qualcosa si deve provare a fare. Al di là degli interventi economici e finanziari, indispensabili, bisogna tentare di ridare un’anima a questa Europa. Da questo punto di vista la cultura politica cattolico-democratica è in grado di offrire un contributo di assoluto rilievo, come già fece all’alba del processo costituente europeo. La presenza di un uomo appartenente a questa cultura, David Sassoli, alla Presidenza del Parlamento di Strasburgo e, mi si consenta, quella di Sergio Mattarella al Quirinale dovrebbero fornire a noi tutti lo sprono per impegnarci in una battaglia che davvero potremo definire epocale.