Il gioco è cambiato, diversamente dal passato il giusto e l’utile tendono a coincidere. Ora, contribuire da parte nostra alla stabilità in Ucraina è coerente sia con i nostri valori che con i nostri interessi.

Tra le molte cose che sappiamo sulle democrazie c’è senz’altro il fatto che difficilmente si fanno la guerra tra di loro. Naturalmente non sono sempre più pacifiche dei regimi autoritari. Sappiamo solo che raramente si aggrediscono tra loro. Da qui l’idea secondo cui, in un mondo composto esclusivamente di democrazie stabili, la guerra scomparirebbe in automatico. Questa corrente di pensiero non è rimasta relegata nel chiuso delle discussioni accademiche, ha ispirato spesso l’azione di molti osservatori e leader politici mondiali.

In realtà, come si vede in questi giorni, la situazione è un po’ più complessa. Ci sono almeno due precisazioni da fare. La prima è che se le democrazie tendono a instaurare tra loro rapporti pacifici, la regola non vale per i regimi autoritari. Anzi, esistono prove del fatto che i regimi illiberali possono essere molto aggressivi verso i vicini democratici. In questi casi, è alto il rischio che le loro élite possano incanalare verso un nemico esterno le tensioni sempre presenti al loro interno.

La seconda precisazione è che i processi di democratizzazione non sfociano necessariamente in democrazie compiute. Anzi, spesso generano “democrature” che mettono insieme elementi liberali (elezioni più o meno libere) e altri illiberali (regole emergenziali finalizzate alla repressione degli oppositori). Una democrazia illiberale può essere molto aggressiva verso l’esterno, talvolta più di certi regimi autoritari.

Inoltre in politica c’è spesso un divario tra ciò che è “giusto” e ciò che è “utile”, in altre parole tra ciò che pensiamo sarebbe giusto fare alla luce dei principi che professiamo e ciò che sappiamo essere utile per i nostri interessi. In politica internazionale, poi, quel divario spesso è la regola. Ciò contribuisce a spiegare il tasso di ipocrisia che spesso circonda i rapporti interstatali. Si finge di fare ciò che è giusto, ma si opera per realizzare ciò che è utile. Soltanto in rare circostanze il giusto e l’utile coincidono.

Adesso però il gioco è cambiato, nel senso che il giusto e l’utile tendono a coincidere: contribuire, da parte nostra, alla stabilità in Ucraina è coerente sia con i nostri valori che con i nostri interessi. Le sanzioni già decise dalla comunità internazionale sono un importante primo passo. In realtà, c’è un problema italiano in rapporto alla Russia e c’è un problema europeo in rapporto all’Est del continente nel suo insieme. La crisi ucraina ha posto il nostro Paese in prima linea. Ciò che accade a Kiev è per noi una emergenza nazionale che andrebbe affrontata con il massimo di coesione da parte della classe dirigente. 

Siamo tra i più esposti per gli intensi rapporti che abbiamo sempre coltivato con la Russia, per gli approvvigionamenti energetici, per il volume dei nostri interessi e scambi commerciali con Mosca, per le questioni di sicurezza coinvolte. E siamo tra i più esposti anche perché vari competitors potrebbero tra poco farsi avanti per subentrare alle molte imprese italiane che hanno fino a oggi operato attivamente in Russia. Se come “sistema Paese” non avremo un ruolo da protagonisti in questa fase, non potremo sperare di averne uno a guerra conclusa.

C’è poi l’Europa. I suoi interessi strategici sono troppo importanti perché essa possa permettersi il lusso di non adottare, sia pure in accordo con l’alleato americano, una posizione al tempo stesso energica e lungimirante. I primi segnali non sono positivi. Scegliere lo “scaricabarile”, rifiutare anche in via ipotetica l’idea di una “gestione europea” della crisi, la dice lunga sulla condizione e sullo stato di salute in cui versa l’UE. Lo tsunami della crisi ucraina può essere quella “sfida esterna” ai più vitali interessi di sicurezza dell’Unione in grado di far fare un definitivo salto di qualità alla politica estera comune. Oppure, può essere lo scoglio che può farla naufragare definitivamente. La relazione è nei due sensi: la sfida potrebbe indurre più coesione in Europa e più coesione le sarebbe necessaria per influenzare, magari ponendo mano a un piano straordinario di aiuti, il futuro dell’Ucraina. Anche al fine di impedire che la regione venga sconvolta, tra qualche tempo, da nuove guerre.