Il cattolicesimo “adulto” di David Sassoli

 

Accogliamo volentieri questa testimonianza di Massimo Papini, storico di formazione fucina e tra i più attenti conoscitori dell’esperienza dei cattolici comunisti, che ci aiuta a inquadrare l’ambiente giovanile in cui David Sassoli mosse i suoi primi passi.

 

Massimo Papini

 

Come tutti sono rimasto colpito dalla morte di Sassoli e, nonostante fossi preso da un lieto evento che mi riguarda da vicino, mi sono venuti in mente alcuni ricordi che reputo meritino una condivisione.

 

La prima cosa che mi ha colpito è che il padre, direttore del “Popolo” aveva chiamato il figlio David in nome della sua amicizia con padre David Maria Turoldo. E’ sempre stato luogo comune che i democristiani fossero ostili al clero più progressista e già questa notizia lo smentisce. La questione andrebbe approfondita e non banalizzata. La cosiddetta “scelta religiosa” dell’Azione cattolica aveva favorito la condivisione di idee che circolavano e fruttificavano in ambienti anche distanti. Si pensi, ad esempio, che Rosy Bindi, nell’Aci di Bachelet, era la destra interna…

 

Ma i miei ricordi (che in parte ho condiviso) mi riportano alla luce alcuni particolari rilevanti, a cominciare dalla ricca esperienza fucina e dalla stessa Azione cattolica negli anni Settanta.

 

In questi ambienti era abbastanza normale che convivessero opinioni e scelte politiche diverse, che andavano dalla Dc alla sinistra extraparlamentare passando per il Pci. Comune era non solo la fede e il modo di intenderla e di viverla, direi in modo adulto, ma anche gli interessi culturali e perfino musicali.

 

Ho sentito che Paolo Giuntella ebbe un ruolo nella formazione di Sassoli. Giuntella, cristiano democratico, è stato un importante quirinalista, ma prima era stato anche lui fucino e aveva poi fondato il gruppo della Rosa bianca. Passai una serata con lui molto divertente (credo come inviati a un congresso nazionale delle Acli a Firenze) e mi colpì che avevamo le stesse idee e gli stessi interessi quasi su tutto. Radicalmente antifascista (il padre era stato deportato e aveva scritto un libro di memorie tra i primi sugli Imi), leggeva Thomas Mann e Boll, citava Gramsci, amava e conosceva a memoria Dylan, i gruppi rock e i cantautori, solo per fare un esempio, musica che ha accompagnato il suo funerale. Insomma era difficile capire cosa ci potesse dividere, al di là dei giudizi sul confronto molto stimolante tra Scoppola e Rodano.

 

Del resto la sua era una di quelle famiglie (che si frequentavano) che erano la cresta del cattolicesimo democratico italiano: i Moro, i Bachelet, gli Scoppola, i Giuntella e altre. Il retroterra culturale e politico di quella fascia di politici intellettuali che potrebbe andare da Prodi allo stesso Sassoli e che ha contribuito a salvare quel che resta della civiltà democratica del nostro Paese.

 

Ecco, questi fili che hanno unito esperienze anche diverse (e penso al rapporto con mio fratello Roberto [fondatore e animatore dell’Istituto Internazionale Jacques Maritain, ndr]: eravamo d’accordo su tutto, ma votavamo in modo diverso), sarebbe utile che si riscoprissero e si valorizzassero anche oggi.