Dunque, il Governo Draghi è decollato e la politica, almeno quella che abbiamo vissuto e sperimentato negli ultimi tempi tra i diversi schieramenti alternativi – si fa per dire – viene momentaneamente sospesa. Almeno si spera. Ora, all’interno di un quadro politico che negli ultimi 3 anni, cioè dopo le elezioni del 2018, è stato dominato e caratterizzato dal populismo e dal trasformismo, con questa esperienza di governo forse sarà possibile ricostruire un nuovo assetto politico, con nuove alleanze e, molto probabilmente, anche con nuovi soggetti politici. Purtroppo, non cambieranno granché gli esponenti politici ma anche su questo versante ci saranno novità. Probabilmente circoscritte, ma ci saranno.

Ed è proprio in questa cornice che si rende sempre più necessaria la presenza politica di una forza che sia in grado di riaffermare una vera cultura di governo, una capacità di comporre interessi contrapposti, che abbia un grande rispetto delle istituzioni con un vero senso dello Stato,  che eserciti una cultura della mediazione, che batta alla radice qualsiasi deriva che punta alla radicalizzazione della lotta politica e che, soprattutto, abbia una classe dirigente che sappia finalmente coniugare rappresentatività territoriale, politica e sociale con la qualità della medesima classe dirigente. Insomma, per dirla in breve, che sappia recuperare quelle caratteristiche e quelle peculiarità – pur senza riproporre quella esperienza partitica, come ovvio e scontato – che hanno caratterizzato per decenni la cittadella politica italiana. Certo, è del tutto evidente che l’attuale fase politica è quasi antropologicamente diversa rispetto a quella del passato. Del resto, quando prevalgono i disvalori del trasformismo, del populismo e quindi dell’opportunismo, è del tutto evidente che la politica, almeno quella che per molti anni abbiamo conosciuto e sperimentato anche nel nostro paese, è destinata ad arretrare e a fare un passo di lato. Ma la ruota gira e la moda di ieri, che ha fatto la fortuna di alcuni partiti, può diventare nell’arco di poco tempo una palla al piede per chi vuole e cerca di ridare prestigio, autorevolezza e credibilità alla stessa politica e ai partiti. Ma per centrare questo obiettivo è altrettanto evidente che si rende indispensabile una classe dirigente che non sia ispirata a quei disvalori. Populismo e trasformismo non possono più essere le stelle polari che orientano le scelte politiche e gli stessi comportamenti concreti. Di conseguenza, l’inaffidabilità e il cinismo più spregiudicato dei vari capi e capetti politici non rientrano tra gli elementi più gettonati per la nuova e futura classe dirigente. Gli slogan, ormai sempre più virali sulla rete, attorno al “mai e poi ancora mai con quel partito e con quell’esponente politico” non possono più essere il metro con cui si misura la credibilità della classe dirigente politica. Slogan che si sono rivelati, tra l’altro e come l’esperienza ha platealmente confermato, autentiche panzanate e solenni falsità.

Ecco perchè, la necessità di ridare fiato e concretezza ad un partito di centro, o meglio ad un partito che declini “politiche di centro”, diventa una priorità nel confuso e disorientato panorama politico italiano. E proprio il governo autorevolmente guidato da Mario Draghi può essere l’occasione propizia per inaugurare anche una stagione politica che sia in grado, pur senza coltivare facili illusioni, di invertire un po’ la rotta rispetto al decadimento etico, culturale, politico e anche programmatico a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi. Un partito di centro che declini politiche di centro non potrà che essere un soggetto di natura federativa che metta insieme culture e sensibilità diverse e che ha l’ambizione di rappresentare un punto di equilibrio e di sintesi per il sistema politico italiano. E, quel che più conta, con una classe dirigente che non faccia del basso trasformismo e del bieco opportunismo la sua cifra distintiva.