Questo contributo si presenta come lettera al Direttore. Lo pubblichiamo volentieri.

Caro D’Ubaldo, due cose per continuare il confronto aperto da lei con la sua provocazione ‘extraparlamentare’ (di cui precorritrice fu quella radicale reimpostazione disegnata da Dellai su “Il Domani d’Italia” del 23 Ottobre scorso).

Due cose che secondo me sono indicative di certa confusione che staziona quale nuvolaglia nella zona dei discussants del centro, de  ‘i’  cattolici, del partito sì partito no, eccetera eccetera.

Si ricorda quando in “Mary Poppins” l’Ammiraglio Boom avvisa Bert? “Un piccolo consiglio, giovanotto. Al numero 17 hanno alzato il segnale di burrasca. Si prepara un fortunale da quelle parti.”. Ecco, “quelle parti” sono le nostre cerchie dove la concentrazione è sulla formula, e neanche immaginati i cambusieri che dovrebbero poi preparare la minestra.

Sembra la nuvola di Fantozzi che si addensa sulla capa della cerchia degli ottimati che sono a carcare la ricetta della pietra filosofale che da dei sassi faccia apparire il ‘Centro’.

Giorgio Merlo all’inizio dice delle cose anche condivisibili, ma poi sembra non avere capito l”extraparlamentarismo’ dibattimentale e di reclutamento di cui parla lei. Afferma che nell’opinione pubblica cresce una domanda di “centro”. Sono i quasi 5 italiani su 10 favorevoli alla pena di morte del 54° Rapporto Censis di ieri? Poi parla di un ambiente politico come precondizione, e alla fine si arrende e spera che la sua novità, caro D’Ubaldo, funzioni (“la suggestione del “centro extraparlamentare” non va fatta assolutamente cadere…”; allora? decidiamoci).

Non so se ci si avvede (ma tra ex professionisti della politica che si piacciono mi sembra difficile) che non c’è un’altra strada. Glielo posso dire perché io non vengo da ‘le istituzioni’ del manuale ma dalla contestazione al conservatorismo e alle forme canoniche sclerotizzate che hanno tenuto ingessate le istituzioni. Gli spazi ‘extra’ – extra Azione Cattolica, extra curiali, extra politici, extra scolastici ecc. – li conosco bene, conosco le comunità di base poi legittimate dalla CEI nel 1981 (che peraltro nella stragrande maggioranza dei casi erano Gruppi spontanei parrocchiali che usavano il serio metodo della Revisione di vita sul Vangelo con un sacerdote). D’Alema, allora alla FGCI, strigliava i compagni dicendo che i preti radunavano ancora 400.000 giovani (1975), cominciando da “Mani Tese”, “Operazione Mato Grosso”, AGESCI, e via.

Lavorando nelle Associazioni/Organizzazioni di rappresentanza le posso dire, a mo’ di esempio, che i primi a non credere nella Camusso sono gli impiegati della CGIL. Il vertice (quattro gatti) ci crede, e gli altri mille no. Di cosa secondo lei, bisogna preoccuparsi? Delle ‘sfumature’ con cui un pasciuto top management e i cacìcchi locali discettano sulle possibilità di un nuovo sindacato (l’araba fenice) o di quei mille del ceto impiegatizio che non credono più nelle strutture in cui e per cui lavorano? Il primo è un problema ‘parlamentare’, il secondo un problema ‘extraparlamentare’. La questione vera, quella delineata da lei, è la seconda, ed è anche l’unica recita nuova possibile. Da cominciare ad allestire subito. Il resto sono films già visti; magari ritinteggiati a nuovo.

La seconda cosa che vorrei considerare è l’intervista di Provinciali a Bonanni. Bonanni risponde solo parzialmente alle articolate domande poste da quel competente preparato che è Provinciali, e preferisce intrattenersi sulla storia del Sindacato, sui meriti di questo, sul ripristino di certe forme ‘storiche’ di rappresentanza, eccetera eccetera. Poi, dovendo concludere sul nuovo, la butta sbrigativamente sul digitale e le nuove risorse energetiche, che secondo lui saranno la cifra del post Covid e della nuova coesione e benessere sociale di domani.

Tutto qui? Idee? Zero. Quelle due o tre cose finali lì, salvo il panegirico sul ‘suo’ Sindacato, le può dire un ufficio informatico o ambientale di terza fascia di qualsiasi Organizzazione. D’altronde Bonanni è quello che riuscì ad intestarsi la chiusura di “Todi Due” il 22 Ottobre del 2012, rilasciando solitario un’intervista come se il suo parere fosse quello di tutti gli altri attori che avevano prodotto le giornate di Todi.

Vale per lui e per gli specialisti degli sfruculiamenti ‘parlamentari’ la domanda del compianto Mons. Adriano Vincenzi proprio a Todi 2 la sera della prima giornata, prima d’andare a cena: “…Scusate,… ma dove le abbiamo le persone per fare tutto quello che abbiamo detto oggi???”.

Una domanda che già lì rimase inevasa e che non fu ripresa neanche l’indomani. Anzi: mai più. Tipico delle nostre discussioni: del ‘come’ non gliene frega niente a nessuno. E questo conferma l’irresistibile vocazione all’autoreferenzialità che ha qualsiasi ceto intellettuale in Italia, un Paese eternamente diviso tra l’idealismo del sapere e il ‘fai-da-te’ di tutti gli altri.

Per questo se non si allarga il lavoro agli infermieri delle astanterie ‘extraparlamentari’, con i soli medici dei reparti specialistici ‘parlamentari’ non ci si farà mai.

L’ho detto da tempo parafrasando Gimondi: noi dobbiamo valorizzare chi comunque pedala, non chi vince la corsa; questo lo vedremo dopo: ora bisogna ingaggiare più corridori possibile. E credo che i più siano nello spazio ‘extraparlamentare’ lanciato da lei.

Mi stia bene e buone cose.