In base al rapporto di collaborazione tra le due testate, Il Domani d’Italia e Orbisphera, pubblichiamo il testo integrale dell’editoriale di Antonio Gaspari, direttore di Orbisphera.

«O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti a modo tuo, come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa. Dobbiamo in questo punto essere esigenti, severi. Il Concilio non va negoziato…».
Lo ha detto, il 30 gennaio, Papa Francesco nel discorso rivolto ai partecipanti all’incontro promosso dall’Ufficio catechistico nazionale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).
Il Papa ha spiegato che la catechesi è l’onda lunga della Parola di Dio per trasmettere nella vita la gioia del Vangelo.
«La catechesi – ha precisato – non appiattisce né omologa, ma valorizza l’unicità di ogni figlio di Dio».
«Cuore del mistero è il kerygma, e il kerygma è una persona: Gesù Cristo».
«La catechesi – ha ripetuto – è uno spazio privilegiato per favorire l’incontro personale con Lui. Perciò va intessuta di relazioni personali. Non c’è vera catechesi senza la testimonianza di uomini e donne in carne e ossa».
In questo contesto il catechista è colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; una memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà.
Il Pontefice ha spiegato che, per una predicazione che mostri vicinanza, apertura al dialogo e accoglienza, l’annuncio non dev’essere imposto, ma deve fare appello alla libertà e possedere gioia, stimolo e vitalità.
La fede – ha sottolineato – va trasmessa con il linguaggio del cuore.
A proposito del Concilio, il Papa ha ricordato ciò che disse San Paolo VI alla prima Assemblea Generale della CEI dopo il Vaticano II: «Dobbiamo guardare al Concilio con riconoscenza a Dio e con fiducia per l’avvenire della Chiesa; esso sarà il grande catechismo dei tempi nuovi».
Per questo motivo Francesco ha invitato la Chiesa ad offrire una catechesi rinnovata, che ispiri ogni ambito della pastorale: carità, liturgia, famiglia, cultura, vita sociale, economia… perché la catechesi è “l’avanguardia della Chiesa”, ha il compito di «leggere i segni dei tempi e di accogliere le sfide presenti e future».
Riflettendo sui danni provocati dal virus, Francesco ha chiesto di riabbracciare la comunità in cui viviamo, perché la comunità «non è un agglomerato di singoli, ma la famiglia in cui integrarsi, il luogo dove prendersi cura gli uni degli altri, i giovani degli anziani e gli anziani dei giovani».
«Questo – ha spiegato il Vescovo di Roma – è il tempo per essere artigiani di comunità aperte che sanno valorizzare i talenti di ciascuno».
«È il tempo di comunità missionarie, libere e disinteressate, che non cerchino rilevanza e tornaconti, ma percorrano i sentieri della gente del nostro tempo, chinandosi su chi è al margine».
«È il tempo di comunità che guardino negli occhi i giovani delusi, che accolgano i forestieri e diano speranza agli sfiduciati».
«È il tempo di comunità che dialoghino senza paura con chi ha idee diverse».
«È il tempo di comunità che, come il Buon Samaritano, sappiano farsi prossime a chi è ferito dalla vita, per fasciarne le piaghe con compassione».
«Desidero una Chiesa sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza», ha concluso Papa Francesco, invitando la Chiesa italiana a incominciare un processo di Sinodo nazionale «che guardi al futuro delle comunità, perché siano sempre più radicate nel Vangelo, comunità fraterne e inclusive».