Secondo uno studio pubblicato il 19 febbraio da Carbon Brief, l’emergenza del coronavirus in Cina ha contribuito in modo rilevante alla riduzione di un quarto delle emissioni di C02 nel Paese.

Il progressivo blocco di parte delle attività produttive nelle fabbriche (tra il 15% al 40% nei principali settori industriali), il prolungamento delle ferie per il Capodanno cinese, gli obblighi di isolamento e i limiti alla circolazione – misure decise dal governo di Pechino per arginare il diffondersi dell’epidemia – hanno infatti portato a un sensibile abbassamento dei consumi energetici e delle emissioni di gas serra, con quest’ultime ridottesi di 10 milioni di tonnellate rispetto allo stesso periodo del 2019.

Le prime analisi dell’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) e dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) suggeriscono che le ripercussioni dell’epidemia potrebbero raddoppiare fino al mezzo percento sulla domanda mondiale di petrolio tra gennaio e settembre di quest’anno.

Nel periodo di due settimane a partire dal 3 febbraio di quest’anno, il consumo medio di carbone nelle centrali elettriche che riportavano dati giornalieri è sceso al minimo, dato più basso degli ultimi quattro anni, senza alcun segno di recupero nei dati più recenti, relativi a domenica 16 febbraio.

Allo stesso modo, i tassi di funzionamento della raffineria nella provincia di Shandong, il principale centro del paese per la raffinazione del petrolio, sono scesi al livello più basso dall’autunno 2015, indicando una prospettiva fortemente ridotta della domanda di petrolio.

Considerato l’enorme peso demografico ed economico della Cina a livello globale, questa “stretta” forzata ha avuto ovviamente dei riflessi anche sul resto del pianeta, facendo registrare un meno 6% delle emissioni mondiali in comparazione allo stesso periodo dello scorso anno.