Il costo esistenziale del progresso

Viene da chiedersi, scrive l’autore, in quale direzione di marcia l’umanità sia posizionata nel mondo. Osserva, in definitiva, che bisogna consumare, cambiare e innovare. Incessantemente. Ma quanta parte di tutto questo è indispensabile, quanto è inutile o superfluo?

La domanda non è retorica né solo post-moderna, da sempre anche scrutando le stelle o osservando la natura e il progressivo espandersi della presenza antropocentrica sul pianeta, l’uomo si è posto alcune domande: come si vive, come si cambia, in che modo si progredisce, che cosa ci si lascia alle spalle di irrecuperabile, dagli stili di vita, alle abitudini in perenne alternanza o viceversa quale sia stato in qualunque momento della storia il valore aggiunto, quel “più uno” che è la molla del progresso.

Il concetto di tempo si è evoluto, si sono aperti nuovi orizzonti, la globalizzazione ha imposto la presenza simultanea della totalità della realtà nella sua tessitura di opposti e di contrari: eppure l’interrogativo di fondo non ha ne’ potrebbe avere una risposta, poiché il futuro è imprevedibile e sovente non governabile.

C’è chi ha il sofisma di una visione olistica, totale di una sostenibile esistenza, che prevede solo condizioni migliori anche superando gli inciampi di percorso, chi invece si accontenta dell’hortus conclusus e finisce per parametrare il bene e il male circoscrivendolo alla propria condizione che tuttavia nasconde una dimensione di inevitabile precarietà. Ci sono gli scettici e i negazionisti che esprimono un nichilismo di maniera, si oppongono a tutto e rinnegano le evidenze in nome di un preconcetto rifiuto, siano essi i no-vax o i terrapiattisti. Eppure la democrazia dell’uno vale uno anche comparando un mentecatto ad uno scienziato consente a costoro di avvalersi di ogni pretesto per costruire teoremi insostenibili: sfido un terrapiattista a portarmi sul bordo della fine del mondo piatto per scrutare cosa c’è sotto. Poi ci sono gli studi della scienza, le previsioni degli esperti, i Rapporti degli organismi internazionali che ci mettono di fronte a prospettive inquietanti, come è stato per il sesto Rapporto ONU 2021/COP26 che ha palesato una situazione da codice rosso per l’umanità a motivo dell’emergenza climatica e dell’inesorabile consumo delle risorse del pianeta. 

Un monito espresso a questo livello dovrebbe restare in prima pagina per lungo tempo poiché è la precondizione di tutto il resto: finisce invece nel dimenticatoio dopo gli allarmi del momento, per essere oscurato da questioni di piccolo cabotaggio, persino miserie umane che fanno parte di quel presentismo asfissiante e cieco a cui da almeno dieci anni a questa parte ci hanno richiamato gli annuali Rapporti del CENSIS sulle nostre tendenze di vita: e qui il territorio è davvero sconfinato e sconsolante, persino per le solitudini subite o per quelle cercate, che sono gli estremi che si toccano nella fuga dalla realtà. Ci sono notizie che creano una incomprensibile confusione: l’etica della responsabilità si annulla nel chiacchiericcio, cose dette e poi smentite, post, twitter, apparenze insignificanti che ci mandano in fibrillazione per una idiozia del momento, anche se resta sottotraccia in ciascuno di noi una sensazione di impotenza che ci porta a sentirci soccombenti di fronte al gigantesco Moloch della vita.

Il presente ferma l’attimo ma non è un carpe diem quanto piuttosto una inesprimibile attesa del peggio.

Arriva il terzo vaccino, la scienza ha seguito gli sviluppi della pandemia e lo sapeva da tempo: meno male che c’è, peccato che la politica ce lo dica solo ora. Il green pass sarà come un secondo documento d’identità e ce lo porteremo dietro dalla pubertà fino alla tomba. Siamo bombardati dagli input sugli stili di vita: auto elettriche, domotica, digitalizzazione pervasiva quotidiana fino ad annullare il pensiero pensante: è già tutto scritto nelle sequenze dei codici alfanumerici e degli algoritmi. Tutto pensato e deciso, altrove.

Ma in questi giorni il Ministro della transizione ecologica ci annuncia un salasso da capogiro: aumento del 40% di luce e forse anche gas. Colpa delle materie prime. Nessuno poteva prevedere, per evitare? Strano che ciò si sappia dopo le ‘magnifiche sorti e progressive’ del Recovery fund: sembrava la soluzione di tanti mali ma ora sappiamo che quei fondi non serviranno per i nostri consumi energetici. Torneremo dunque alle candele o abbracceremo la teoria Amish che espunge  la tecnologia dagli stili di vita o il credo anabattista che ci induce alla sobrietà? C’è chi dice che il PIL a fine anno arriverà ad un più 6% ma se il lavoro non si inventa come si farà a consumare senza produrre? Adesso che abbiamo lo SPID sappiamo che molta parte dei nostri problemi esistenziali sarà risolta: forse non per gli anziani che sono arcistufi di novità digitali spacciate per conquiste.

Per non parlare delle televisioni da sostituire: quando costruivano quelle che abbiamo adesso esisteva già il know how per produrre quelle richieste in futuro ma sono andati avanti per avere due cicli di mercato a distanza. Così come le ditte produttrici e i grandi network della comunicazione sanno che tra cinque o sei anni saremo costretti a cambiare di  nuovo apparecchio. Di tutte le notizie che circolano trovo che questa sia la più odiosa: prima perché costringe le famiglie ad una spesa onerosa e inutile, basta fanfaluche, gli schermi attuali ci danno immagini nitide e l’eventuale miglioria dei pixel sarà impercettibile.

Però bisogna consumare, cambiare, innovare: quanta parte di tutto questo è indispensabile, quanto è inutile o superfluo? Qualcuno ha pensato a come e dove saranno smaltiti i vecchi apparecchi televisivi? In qualunque modo ciò sarà fatto costituirà un vulnus ambientale gravissimo, un inquinamento della natura: allora ci si chiede a cosa servono i moniti ultimativi dell’ONU e degli scienziati se il consumismo obbligato e imposto – oltre a generare oneri economici spesso gravosi- va avanti per la sua strada, con la benedizione dei governi e dei potentati economici, in perenne espansione per la conquista dei mercati.