Non siamo più all’amarcord, si assiste piuttosto a una lenta e positiva maturazione. Sul ritorno al “partito cattolico” fioccano le opinioni contrarie, a dimostrazione che l’insegnamento di Sturzo De Gasperi e Moro ha lasciato un segno indelebile nel pensare e nel vivere laicamente l’azione politica. Ci si ostina semmai a ipotizzare la resurrezione della Dc, partito di progresso e ponderatezza, quasi fosse possibile riavvolgere il filo del tempo nel quale la diaspora dei cattolici ha dispiegato gli effetti più marcati. Perciò, a dispetto degli oltranzisti, appare meno ingenua e pretenziosa la volontà di reagire alla dissipazione di un patrimonio che mostra la forza di crescere su se stesso, tanto da effondere i suoi algoritmi di esperienza nell’atmosfera della vita pubblica. Morta la Dc, non cessa di esistere la cellula madre del suo organismo storico, vale a dire la cellula riproduttiva di un sano realismo innovatore.

Finora, con il disfacimento della Prima repubblica, è valsa la logica delle minoranze contrapposte e quindi la fantasia del loro diritto a resistere all’inclemenza della sorte, per rivendicare le ragioni di chi ha avuto ragione nel lungo e duro confronto della guerra fredda tra Occidente e Unione Sovietica. È capitato in Italia che al crollo del comunismo sia subentrato il turbine della cancellazione di ogni esame di coscienza collettivo, sebbene fosse necessario. L’anima cristiana della nazione ha mutato l’appello alla clemenza dei vincitori in alibi per un “cambiamento di regime” dai tratti ambigui. Si è imposto il rigurgito del trasformismo con l’inaugurazione di un modello di democrazia maggioritaria che in nome della contendibilità del potere ha sdoganato la disordinata personalizzazione della lotta politica. 

Oggi si avverte la fragilità di uno schema che in pratica è servito a relegare a bordo campo la presenza organizzata dei cristiani, spinti con benevola tracotanza nell’universo fluttuante della società civile. Il mondo del volontariato e dell’assistenza ha conosciuto il largo presidio di un nuovo prototipo di militante. A prescindere dal colore delle giunte, l’assessore ai servizi sociali è divenuto nel corso degli ultimi venticinque anni una figura pressoché identificabile con la specializzazione del quadro dirigente cattolico. Qualche Cardinale ha tratto perciò la conclusione che la Chiesa dovesse premunirsi di nuovi strumenti d’intervento, senza più deleghe al laicato e quindi senza più intermediazioni superflue. I popolari hanno resistito a modo loro, non riuscendo a difendere fino in fondo l’autonomia della propria rappresentanza. Con ciò, tuttavia, non è venuta meno la qualità del personale cattolico, forte dell’appartenenza a quel mondo riccamente motivato, che una volta la Dc interpretava come il cemento ideale della sua prolungata e non effimera funzione di governo.

La novità è che al termine di questo ciclo l’invito alla ricomposizione dell’area del cattolicesimo democratico e popolare, in fondo con l’obiettivo di restituire dignità e consistenza alla politica di centro, non proviene tanto o solo dagli “esuli pensieri” dei sopravvissuti. Si muove infatti un qualcosa di più profondo, nella società e nelle istituzioni, qualcosa che denuncia un vuoto, una mancanza, un’insufficienza; qualcosa che incarna al tempo stesso, come principio ordinatore, un’esigenza e una speranza. E si muove appunto a reclamare una correzione strutturale dell’assetto politico, perché il Paese non regge – gli indicatori del debito pubblico e del blocco di produttività lo attestano ampiamente – se perdura uno squilibrio di rappresentanza e di ruolo, dopo l’abbandono del felice connubio tra laici e cattolici risalente alla magistrale operazione degasperiana del secondo dopoguerra.

Bisogna fare leva sulla ritrovata partecipazione popolare, con le oneste “sardine” in prima linea, che si oppone all’ondata sovranista, anti europea e xenofoba. Questo è il pericolo maggiore, la vera causa di un’emergenza democratica, corrosiva delle basi di civile convivenza, da cui è nata per reazione la svolta di governo dell’estate scorsa. Contro la Lega non vale la pretesa di un’unica risposta in capo alla sinistra: anzi, lo spettro dell’elettorato intermedio accoglie un’istanza anti sovranista, autonoma e diversa, per certi versi più complessa e potenzialmente più efficace. Qui risiede, in fin dei conti, l’auspicabile dialogo di tutti i democratici di matrice popolare, aperto alla collaborazione con i riformisti di altra formazione culturale, senza perciò che l’originaria ispirazione cristiana assuma il carattere di riserva integralista a detrimento di una sana  politica delle alleanze. 

Si vince, questa scommessa? La cautela è d’obbligo, il rischio fallimento incombe sempre. Ciò non toglie che sia da prendere sul serio e messo a fondamento di una grande iniziativa politica, con un tratto di sapiente generosità e innovazione, il desiderio non più marginale nella vita democratica italiana di rompere l’incantesimo del mugugno  a cui ha ceduto da troppo tempo una parte della pubblica opinione, rinunciando persino ad esprimersi nelle competizioni elettorali. Occorre riattivare il flusso della fiducia in un Paese infiacchito dalla dialettica del rancore e della perenne incomprensione degli uni contro gli altri, per non essere dunque subalterni alle nostre inadempienze.

 

[L’articolo è stato scritto per il foglio ufficiale dell’Associazione Nazionale dei Democratici Cristiani – www.democraticicristiani.com]