Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Antonio Farisi

Esattamente vent’anni fa, nel mese di marzo del cruciale anno 2001, fu organizzata per Giovanni Paolo II , appassionato di cinema, una proiezione di quello che è considerato il miglior film di fantascienza di tutti i tempi, 2001: Odissea nello spazio. L’occasione era data dal ritorno dell’opera di Stanley Kubrick in versione restaurata nelle sale di tutta Europa, nell’anno che lui aveva reso emblematico. Il carattere privato dell’evento, svoltosi a Palazzo San Carlo nel cuore del Vaticano, non permette di ricostruirne la cronaca, non fosse per la presenza tra gli ospiti di Christiane e Anya Kubrick, moglie e figlia del regista, che negli anni sono tornate più volte a parlarne con viva emozione. In particolare, tre mesi dopo intervistata da Charlie Rose per l’americana Pbs, la vedova, ricordando quella serata in Vaticano, affermò: «2001 è una preghiera agnostica».

Tra tutte le definizioni che hanno accompagnato il film dalla sua uscita nel 1968 (“un poema sperimentale da sei milioni di dollari”, “epopea travolgente sotto il segno di Nietzsche”, “un racconto freddo”), “una preghiera agnostica” rimane la più spiazzante in quanto viene dalla persona che più era vicino al regista (e Christiane ha continuato a parlarne così anche in altre occasioni pubbliche).

In realtà, Kubrick — che era nato da una famiglia ebraica ma non si riconosceva in alcuna religione — si era sempre rifiutato di dare interpretazioni. «Non voglio fornire una mappa verbale per 2001», aveva detto in un’intervista, lasciando lo spettatore libero di speculare sul significato filosofico e allegorico del film. Dall’apparizione di un monolite agli uomini-scimmia preistorici attraverso la sua ricomparsa sulla superficie lunare e la missione nello spazio profondo che ne consegue, al rapporto di due astronauti con Hal 9000, un computer con una personalità umana, 2001 è una ponderosa ricerca della conoscenza e dell’autocomprensione dell’uomo che provoca più domande che risposte.

Kubrick era partito dal voler fare tabula rasa dell’immaginario di razzi e mostri che aveva colonizzato il cinema di fantascienza come genere da B-MOVIE . Quando, nel 1964 aveva contattato lo scrittore Arthur C. Clarke per proporgli di scrivere una sceneggiatura insieme, prendendo spunto dal suo racconto La sentinella, gli confidò che voleva realizzare «il proverbiale buon film di fantascienza». Negli anni Sessanta, in piena corsa alla conquista dello spazio, il suo proposito era di rappresentare in maniera realistica i viaggi nel cosmo, utilizzando elaborati effetti visivi, modellini e scenografie dettagliate, nonché una fedele riproposizione dei suoni muti in assenza di gravità così da raggiungere una perfetta verosimiglianza. Sul sito della Nasa c’è un elenco di tutti quei dettagli tecnici con cui 2001 ha fornito un’anteprima realistica di come potrebbe essere il nostro futuro nello spazio.

Per dare scientificità e credibilità al film, Kubrick preparò una serie di domande e, nel 1966, spedì un suo assistente con una macchina da presa perché le ponesse ai maggiori esponenti del mondo scientifico. Ventuno personalità del calibro di Isaac Asimov, Margaret Mead, Aleksandr Oparin risposero a domande come «Esiste vita extraterrestre? Che effetti avrebbe questa scoperta sul genere umano? Come sarà l’evoluzione dei computer? Proveranno sentimenti?». Risposte che Kubrick intendeva inserire come prologo al film. Tra i vari contributi spiccano quelli del gesuita Francis J. Heyden, all’epoca direttore dell’osservatorio astronomico della Georgetown University, e del rabbino Norman Lamm, uno dei maggiori rappresentanti dell’ebraismo ortodosso moderno. La loro presenza nel novero di questi scienziati, è segno che anche per Kubrick l’esistenza di forme di vita intelligenti in altre parti del cosmo ha implicazioni filosofiche e teologiche. Alla fine, Kubrick abbandona l’idea del prologo e lascia che il film parli per se stesso. Alla sua uscita nel 1968, un anno prima che Neil Arm-strong compisse il primo passo sulla luna, 2001: Odissea nello spazio disorienta gli spettatori e fatica a trovare un proprio pubblico, finché diventa patrimonio dell’immaginario giovanile, attratto dalla dimensione psichedelica: 2001 trascina lo spettatore in un viaggio di proporzioni inedite, in un «folle volo» per citare Dante, nella celebre sequenza psichedelica della Porta delle Stelle, l’uomo si ritrova inerme e solo di fronte all’Assoluto.

In un’intervista divenuta punto di riferimento per gli studiosi di cinema, incalzato da Eric Norden, Kubrick precisa: «Al centro di 2001 c’è il concetto di Dio» e dichiara che col suo film intende superare «un’immagine tradizionale, antropomorfa di Dio» e ritiene «possibile formulare un’affascinante definizione scientifica di Dio, una volta accettato il fatto che esistono circa cento miliardi di stelle solo nella nostra galassia».

Commentando queste affermazioni, il gesuita e scienziato John Braverman della Georgetown University, intervenendo nel libro Are We Alone? The Stanley Kubrick Extraterrestrial-Intelligence Interviews, ha compiuto un’interpretazione teologica del film, «Il Dio presente in 2001: Odissea nello spazio — scrive — è il Dio dei filosofi. Non è il Dio personale, amorevole, delle relazioni intime caro a Isacco, Abramo e Gesù». Tuttavia, aggiunge, Kubrick potrà anche non credere «in nessuna delle religioni monoteiste della Terra», ma nei passaggi narrativi del film (da “l’alba dell’uomo” a “Giove e oltre l’infinito”) si riconoscono le stesse linee logiche della teologia classica, in particolare quelle della Summa di Tommaso d’Aquino, per cui «attraverso la conoscenza della natura delle cose visibili, l’uomo può accedere a una qualche cognizione di quelle invisibili».

Più che un film da vedere, 2001 resta una esperienza e come tale va vissuto. Quindi, definirlo “preghiera agnostica”, se da un lato contravviene il proverbiale riserbo di Kubrick, dall’altro lascia intendere che, pur nella sua grandezza monumentale, 2001Odissea nello spazio è la sua opera più personale e intima.