Le questioni dalle quali vorrei procedere per introdurre queste poche note intorno alla strategia macroregionale per rilanciare lo sviluppo del Sud sono originate da due notizie apparse nei gironi scorsi, come al solito trattandosi del Mezzogiorno, senza molto rilievo sulla stampa.

La prima è una dichiarazione di Marc Lemaitre, direttore generale delle politiche regionali dell’UE, il quale ha testualmente detto: “Voglio richiamare l’attenzione sulla consistente riduzione degli investimenti nazionali (dell’Italia) al Sud fino al punto da neutralizzare e rendere vano lo sforzo europeo nelle politiche regionali per il Mezzogiorno”. E, subito dopo, a aggiunto: “Tra il 2014 e il 2017 l’Italia si era impegnata a realizzare investimenti nel Sud per un importo pari allo 0,47% del prodotto interno lordo (PIL) delle Regioni del Mezzogiorno ma non è andata oltre lo 0,38%. A fine programma la Commissione potrebbe decidere di operare una correzione, cioè un taglio, dei fondi”.

La seconda è una denuncia presentata all’Unione Europea da parte del movimento Sicilia Nazione (del quale fa parte il vice-presidente della Regione siciliana, prof. Gaetano Armao) contro lo Stato italiano per “violazione per principio di addizionalità” in quanto l’Italia, invece di trasferire alla Sicilia i fondi dei programmi europei in aggiunta a quelli ordinari propri, utilizza i primi in sostituzione dei secondi. Non solo. Ma ha ridotto questi trasferimenti di fondi statali al di sotto della soglia del 34% che era stata introdotta con legge statale nel 2017.

Ebbene, dal ‘combinato disposto’ di queste due notizie non mi sembra difficile pervenire ad alcune significative conclusioni. La prima, che l’UE, pur con tutte le sue insufficienze ed incapacità in ordine ad una vera politica di sviluppo soprattutto dei territori del Sud che si affacciano sul Mediterraneo, è in ogni caso l’unico ancoraggio vero per cercare di limitare i danni delle Regioni del Mezzogiorno d’Italia. La seconda, che è la conferma di una dato che finalmente comincia ad essere riconosciuto anche dall’opinione pubblica e, cioè, che lo Stato italiano è il primo, vero, grande responsabile dell’attuale condizione disastrosa e non più tollerabile dei territori del Mezzogiorno. La terza, ancora più grave e devastante, che la classe politica regionale e locale del Sud non solo è inetta ed incapace ma prende deliberatamente in giro la propria gente: se così non fosse, il vicepresidente della Regione siciliana non avrebbe dovuto condividere ed apprezzare la denuncia all’UE dello scandalo italiano dell’utilizzo dei fondi europei da parte di una benemerita Associazione della società civile ma avrebbe dovuto promuovere egli stesso un pronunciamento ufficiale del governo della Regione siciliana e, se lo avesse fatto con lungimiranza politica, non da solo ma con il coinvolgimento di tutte le altre Regioni del Mezzogiorno.

Sottolineo queste evidenze perché -dopo quasi un lustro di dibattito scientifico, prima, e socio-culturale, dopo, per cercare di avviare la costituzione della Macroregione del Mediterraneo Occidentale quale principale strategia non solo per salvare la prospettiva di una Europa federale delle Comunità ma anche per riorganizzare i territori regionali interni al Mezzogiorno d’Italia e così rilanciarne lo sviluppo- ad oggi la politica meridionale (con le istituzioni che essa guida e che hanno il potere formale di promuovere una macroregione: Regioni e Città metropolitane, cioé) non ha fatto registrare alcun atto concreto di iniziativa che ne avviasse il procedimento costitutivo. Né meno come risposta delle Regioni meridionali alle dirompenti proposte avanzate nell’ultimo anno da alcune Regioni del Nord (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna) per il riconoscimento di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” che se attuate avrebbero ulteriormente penalizzato le Comunità del Mezzogiorno. Circostanza, questa dell’inazione politica delle istituzioni, che, tenuto conto della sua inderogabilità, costringe al palo di partenza tutta la procedura macroregionale e quindi condanna i territori del Sud a marcire nel proprio sottosviluppo.

Tranne che, di fronte a questa situazione ed all’impossibilità che siano i soli soggetti della società civile ad avviare l’iter procedurale della costituzione della macroregione, non si decida di seguire un’altra strada, forse addirittura più conducente. Quella di investire, per l’occasione, un Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT) e, precisamente, il GECT dell’Arcipelago delle Isole del Mediterraneo (ARCHIMED), che ha sede a Taormina e Catania ed è nato per promuovere la cooperazione transfrontaliera nell’ambito della politica di coesione economica e sociale che, a seguito del Trattato di Lisbona, ha oggi anche una dimensione territoriale. In questa prospettiva, si tratterebbe dunque per ARCHIMED di svolgere un’azione coesa e coordinata per aiutare e favorire la costituzione di un modello di sviluppo nuovo che partendo dai cittadini e dalle istituzioni locali del bacino del Mediterraneo occidentale trasformi le sue debolezze in punti di forza.
Naturalmente, come detto in altre circostanze, le specifiche priorità tematiche intorno alle quali ancorare questa strategia saranno determinate dalla concreta idea di Macroregione del Mediterraneo Occidentale che si adotterà. In ogni caso, però, non si potrà prescindere da quistioni fondamentali per l’area quali: 1) l’ambiente ed il cambiamento climatico; 2) la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica; 3) la connettività nel settore dell’energia e dei trasporti; 4) la tutela e la valorizzazione dei beni culturali; 5) e ultima ma chiaramente prima per importanza: la convivenza unitaria e la promozione dei diritti umani di tutte le genti che nel Mediterraneo si affacciano.

Questi imprescindibili pilastri sui quali la macroregione va costruita non esauriscono, però, le sfide che l’impresa deve affrontare. Per superare i tanti ostacoli che si frappongono ad una sua positiva realizzazione imprescindibili sono poi: a) capacità amministrativa; b) governance adeguata; c) programmazione politica; d) finanziamenti congrui; e) comunicazione efficace. Senza un’adeguata ‘rivoluzione’ in questi campi, infatti, ogni azione sul piano delle politiche strategiche richiamate sarebbe impossibile e quindi destinata al fallimento.

Per concludere, voglio infine ricordare che questo è il ‘momento della verità’ se si vuole veramente lanciare una strategia macroregionale del Mediterraneo. E ciò in quanto la preparazione in atto dei Programmi 2021/2027 fornisce una opportunità unica per dimostrare la serietà dell’impegno riguardo alla sua definizione e, soprattutto, al suo perseguimento. Vedremo, se questa nuova strada proposta sarà in grado di condurlo alla sua definizione o, ancora una volta, la strategia macroregionale per il Mediterraneo occidentale resterà un’occasione perduta.