Pubblichiamo il testo di Luigi Sbarra, prossimo Segretario Generale della Cisl, che la Fondazione Ezio Tarantelli ha incluso nel suo ultimo paper “Il lavoro a distanza nell’era digitale”.

La crisi innescata dalla pandemia ha messo a nudo ritardi e debolezze di un intero modello di sviluppo e chiama a responsabilità storiche decisori pubblici e parti sociali. Per garantire riforme eque, stabili ci vuole condivisione. Dopo la determinante firma dei protocolli interconfederali su salute e sicurezza che hanno permesso la ripartenza produttiva, sindacato e imprese devono continuare su questa strada, esercitando le proprie prerogative vere per governare la transizione. 

Bisogna tenere insieme solidarietà e produttività, buona flessibilità e protezione sociale, sicurezza e sostenibilità avviando uno scambio politico” – per usare le parole del compianto Professor Tarantelli – che assegna ruoli precisi ad ogni parte istituzionale  e sociale .  In questo contesto generale, la partita sul lavoro a distanza e lo smart working rappresenta un banco di prova determinante. 

La tecnologia, le intelligenze artificiali, la digitalizzazione permettono oggi di governare da remoto processi produttivi complessi, agendo a distanza su macchine e robot, ben oltre il perimetro del lavoro impiegatizio. 

Secondo recenti studi, sono più di 8 milioni le persone che potrebbero farvi ricorso. Se riuscissimo ad avvicinarci al traguardo, gli effetti economici, sociali e ambientali sarebbero formidabili. Lo smart working è infatti una soluzione “win-win”: offre grandi benefici al lavoratore, all’impresa e alla comunità. 

  • Aumenta la produttività: quasi 10mila euro/anno a lavoratore il risparmio medio per le aziende. 
  • A parità di trattamento eleva il salario reale del lavoratore.
  • Porta a una riduzione dei costi di trasporto e aumenta la sostenibilità ambientale. In Italia ci sono più di 13 milioni di lavoratori pendolari, almeno un terzo potrebbe lavorare in modalità agile.
  • Rilancia la conciliazione vita-lavoro e promuove l’inclusione della disabilità.

Le misure di contenimento hanno portato a una straordinaria accelerazione del lavoro da remoto: non solo lavoro agile ma anche co-working. Che condivide lo stesso spirito innovativo e la stessa ambizione di slegare la persona da un luogo “istituzionale” di lavoro senza per questo isolarla spezzando la condizione di solitudine, che è oggi il vero morbo che minaccia la rappresentanza, la qualità e le tutele del lavoro. 

Prima dei provvedimenti sul distanziamento sociale i lavoratori che operavano fuori dall’ufficio erano meno di 600 mila, pochi mesi dopo hanno toccato i 6 milioni, più di un quarto dell’intera forza lavoro.  I vantaggi riscontrati sono stati molteplici, dal risparmio di tempo e costi di spostamento, alla maggiore soddisfazione e produttività dei dipendenti, al miglioramento dellequilibrio vita-lavoro. Due aziende su tre in Italia dichiarano che continueranno ad utilizzare modalità di lavoro agile anche nella nuova normalità”. 

Ma come è stato detto tante volte, l’esperienza che abbiamo vissuto non è lavoro agile, quanto piuttosto “home working”, che implica tutti i vincoli del lavoro subordinato, con la sola deroga del luogo. In pratica è come aver spostato l’ufficio a casa propria. Lo smart working è altra cosa. È affidamento e responsabilizzazione del lavoratore, riconoscimento di libertà, autonomia e discrezionalità.  È ragionare per obiettivi, per traguardi successivi, per fasi. È ridefinire criteri di valutazione e misurazione delle performance. Tutte caratteristiche che devono adattarsi alle esigenze di ogni comunità lavorativa.

Questa adattività, sia nel pubblico che nel privato, non può realizzarsi con una legge indifferenziata e uguale per tutti. E non può neanche restare ostaggio delle deroghe introdotte in questi mesi, che permettono alle aziende di operare in modo unilaterale.

Ecco perché è determinante restituire tutta la materia all’esercizio della contrattazione, riportandola sul terreno dei contratti nazionali e – soprattutto – di secondo livello. Dobbiamo arrivare a un’intesa concertata tra Governo, Sindacato e Imprese per stabilire saldi affidamenti da attuare attraverso la contrattazione nazionale, aziendale e territoriale.  

Linee che riguardano, tra l’altro, la difesa del salario, chiari limiti sull’orario massimo di lavoro, il riconoscimento dei diritti sindacali e di quelli fondamentali alla privacy e alla disconnessione.  È indispensabile estendere allo smart working la disciplina su salute e sicurezza e tenere fermo il principio di adesione volontaria al lavoro agile da parte dei lavoratori. 

Nel mondo del lavoro italiano sono ancora presenti rigidità strutturali, normative e anche culturali che generano attriti nellimplementazione dello smart-working e che ci impediscono di trarre pieno vantaggio dai benefici che esso comporta. 

Il traguardo del lavoro agile su larga scala implica un processo di ammodernamento che coinvolge tecnologia, riallineamento delle infrastrutture, reti della conoscenza, cultura della partecipazione. C’è un “Patto a tre” che va siglato tra Stato, parti datoriali e mondo del lavoro.

Lo Stato deve garantire infrastrutture allaltezza, e il loro più ampio accesso, sbloccare gli investimenti sui network fisici e digitali, sulle connessioni ultraveloci che oggi raggiungono solo ¼ della popolazione e su cui siamo in ritardo specialmente al Sud. Va inoltre supportata lintera popolazione aziendale con hardware, software e training in soft skill e innovate le infrastrutture materiali nelle città, con piani di trasporto pubblico, mobilità sostenibile e spazi di cogestione lavorativa. 

Le aziende e le amministrazioni pubbliche devono innovare, digitalizzare e ripensare gli ecosistemi lavorativi, ridefinendo non solo larredamento delle nostre case e degli uffici, ma tutto il contesto in cui i lavoratori operano e si spostano. Occorre iniziare a misurare le performance per obiettivi, darsi criteri attraverso la contrattazione, puntare sullaggiornamento continuo dei lavoratori. E’ necessario sviluppare nuovi processi aziendali, innescare una rivoluzione della cultura aziendale sulla base di un nuovo sistema valoriale fondato su tre principi: auto-gestione, integrità, e proposito evolutivo. 

Il Lavoro deve essere riqualificato e ripensato lontano dagli schemi di una esecuzione meccanica di compiti. Va invece messo al centro di un nuovo sistema di diritti e doveri, autonomia e responsabilità che ne valorizzi lapporto creativo.

Quello del lavoro a distanza, delle nuove flessibilità organizzative, del superamento dello spazio classico di produzione è un banco di prova determinante del nuovo corso post-Covid. Una fase che deve essere caratterizzata da una stretta collaborazione tra Impresa e Lavoro nel segno dell’autonomia. 

Far tornare protagoniste le relazioni industriali significa anche rifiutare, nel pubblico, limiti e percentuali imposti per legge. La contrattazione deve essere il motore fondamentale anche nel pubblico impiego.  D’altra parte non si capisce la ratio di soglie applicate in maniera indistinta, che trattano allo stesso modo funzioni, amministrazioni, uffici, strutture diverse… Un approccio completamente sbagliato, che inverte la logica adattiva e “sartoriale” del lavoro agile.

La fase attuale assegna un ruolo determinante a questo incontro. Penso al bisogno di rinnovare tutti i contratti pubblici e privati, che coinvolgono 13 milioni di persone. Ma penso anche alla necessità di spingere sull’acceleratore dell’innovazione, delle buone flessibilità, della partecipazione.  

Gli accordi vanno avvicinati alla persona, sviluppando il secondo livello senza disarticolare le tutele garantite dal primo, implementando gli affidamenti del Patto per la Fabbrica e scongiurando il salario minimo legale. Dobbiamo superare i toni muscolari, e cucire relazioni industriali responsabili, costruttive, partecipative. 

Il braccio di ferro tra mondo del lavoro e impresa, in questa fase, non serve a nessuno. Fornisce solo un alibi a chi vuole interventi legislativi invasivi e antistorici su organizzazione del lavoro, salari, rappresentanza, causali…  Materie che devono restare di pertinenza del libero e autonomo incontro tra parti sociali.  

Il Governo ha ben altri doveri: utilizzare fino allultimo centesimo le risorse europee per sbloccare gli investimenti su infrastrutture materiali e sociali, politiche industriali, digitalizzazione e transizione verde; qualificare le reti della conoscenza; ammodernare gli ammortizzatori sociali collegandoli con un sistema adeguato di politiche attive; rilanciare sanità e pubblica amministrazione; sostenere le marginalità e rilanciare pensioni, di supportare la non autosufficienza e realizzare un fisco che sgravi  le fasce medie e popolari per dare un impulso a consumi, occupazione e produttività.  E ancora, promuovere lesercizio contrattuale defiscalizzando accordi di prossimità, welfare negoziato, adeguamenti salariali di primo e di secondo livello, aiutandoci a combattere i contratti pirata e le false rappresentanze di comodo. 

Dobbiamo trovare le ragioni di una convergenza su obiettivi comuni che si chiamano aumento dei salari e produttività, tutele e buona flessibilità, welfare e formazione, partecipazione e innovazione. Su politiche attive e riforma degli ammortizzatori serve un’intesa con le parti datoriali da presentare al Governo.  Pensiamo sia il momento di dare spazio a una grande svolta sulla partecipazione e la democrazia economica in Italia con modelli contrattuali e di sostegno legislativo che assegnino ai lavoratori un ruolo maggiore nelle decisioni d’impresa.

L’implementazione della democrazia economica e della partecipazione è una vera riforma istituzionale, forse la più importante che serva al Paese.  Si tratta di dare migliore e maggiore rappresentanza ai lavoratori e di realizzare fino in fondo quella che Dossetti ha chiamato “democrazia sostanziale”, e che consiste nel responsabilizzare e coinvolgere a livelli sempre più profondi la società nei processi economici di controllo e decisione.  

È su queste tematiche che si gioca il futuro del Paese. Su questo noi oggi chiamiamo il nuovo Governo e le Rappresentanze datoriali ad assumere impegni coerenti verso un nuovo Patto sociale e a convergere in un fronte riformatore che contribuisca a costruire il bene comune, raccordando i legittimi interessi di ogni parte in un disegno di rinascita e sviluppo per tutti. L’occasione per rinnovare il tessuto sociale e produttivo dell’Italia è per certi versi irripetibile, come ci ricorda la chance del Recovery Plan. Sta a tutti noi non farla svanire, aprendo un percorso concertato che dia profondità, stabilità e equità al processo riformatore.