Da qualche tempo, e sempre più curiosamente, assistiamo alla predica insistente sulla necessità di declinare un singolare “linguaggio dell’amore” nella concreta dialettica politica italiana. Il tutto contro l’odio, la violenza verbale, l’attacco personale e, forse, anche contro una potenziale deriva autoritaria e illiberale. Propositi bellissimi, condivisibilissimi e anzi addirittura auspicabili, nella speranza che vengano sempre e comunque declinati concretamente nei rapporti tra le persone. A cominciare dai rapporti politici, fra i partiti e nei partiti. 

Ora, preso atto di queste dichiarazioni che negli ultimi mesi hanno fatto giustamente breccia e, paradossalmente, sono addirittura diventate il dogma di nuovi movimenti politici, forse è giunto anche il momento per ritornare alla realtà cercando di capire come concretamente si declinano questi nobili principi e questi sinceri propositi nel dibattito politico contemporaneo. 

Innanzitutto l’attacco personale, la delegittimazione morale e politica dell’avversario se non del nemico, la polemica verbale violenta e senza sconti non nasce da oggi. Conosciamo questi metodi da tempo. Per fermarsi alla storia italiana dal secondo dopoguerra, non possiamo dimenticare i violentissimi attacchi politici e personali che venivano praticati dal Pci, dalla sinistra estrema e cosiddetta extraparlamentare contro la Democrazia Cristiana e contro alcuni suoi autorevoli esponenti nel corso degli anni. Lo dice la storia e non l’opinione di singoli. Per non parlare della stagione che ha preceduto e seguito “Tangentopoli”. Ma, per fermarsi agli ultimi anni, e’ persin ovvio ricordare che dopo la stagione del “Vaffa day”, e quindi dell’attacco frontale e personale contro tutti coloro che ostacolavano la tua opinione e il tuo progetto politico, tutto è diventato lecito e possibile. Dal “vaffa day” alla “rottamazione” renziana il passaggio è stato breve. E l’attacco frontale alle persone è stato sdoganato. Dopodiché i gruppi dell’estrema destra hanno fatto il resto sino ad arrivare al giorno d’oggi. Eppure, e come ovvio e scontato, non c’è esponente politico e di partito che non predichi il rispetto dell’avversario – meglio sarebbe dire del nemico – e poi pratichi, come da copione e nei fatti, un attacco violento all’avversario. E’ appena sufficiente ascoltare i messaggi, gli slogan, le urla e leggere i manifesti e gli striscioni delle ultime manifestazioni di piazza per rendersene conto. Dalle piazze delle Sardine contro Salvini, la Lega e la destra a quella dei 5 stelle contro la cosiddetta “casta”; dai movimenti della estrema destra contro la sinistra a quella dei movimenti spontanei contro i partiti e singoli esponenti politici. Di fronte a tutto ciò viene spontanea una domanda: ma dov’è in tutti questo circo il cosiddetto “linguaggio dell’amore”? Dove sono il rispetto dell’avversario e la stessa buona educazione? Dove sono i comportamenti virtuosi e, soprattutto, dov’è la qualità della democrazia che molti auspicano e tutti predicano? 

Ora, per non continuare con esempi che sono – come ben sappiamo – sotto gli occhi di tutti, credo che sia necessario fissare solo alcuni paletti. Semplici ma chiari. 

Innanzitutto nessuno ha il monopolio della correttezza e della moralità nella politica italiana. Non ci sono i professionisti del nuovismo. Da nessuna parte. 

In secondo luogo nessuno può ergersi a paladino esclusivo della buona educazione e del rispetto dell’avversario. Ripeto, è appena sufficiente ascoltare gli slogan e leggere con attenzione gli striscioni che vengono sventolati nelle piazze dei vari partiti e dei vari movimenti politici per rendersi conto che il “linguaggio dell’amore” più che una chimera è un pio desiderio. 

In ultimo nessuno può rivendicare in nome di una superiorità morale nel linguaggio o nel comportamento etico una primogenitura democratica. Nessuno. E chi lo fa scivola facilmente nel campo dell’ipocrisia e del ridicolo. 

Ecco perche’, di fronte ad uno scenario del genere – oggettivo e non opinabile – forse è opportuno ricordare, come ci insegnava Carlo Donat-Cattin a noi giovani della sinistra Dc negli anni ’80, che il politico onesto e democratico e’ colui che “l’etica non la predica ma la pratica perché è talmente onesto che non osa ergersi al di sopra degli altri”. Per questo semplice motivo il “linguaggio dell’amore”, che come tale viene evocato con troppa semplicità e spensieratezza, deve essere altrettanto semplicemente e concretamente praticato e non predicato. Altrimenti si rischia di predicarlo dal palco e di rinnegarlo dalla piazza attraverso l’insulto, la demonizzazione personale e la criminalizzazione politica. Ancora una volta ci sovviene un grande cattolico democratico, Pietro Scoppola, quando invitata i cattolici democratici e popolari italiani a tenere sempre unite la “cultura del comportamento con la cultura del progetto”. Che resta l’unico modo per essere credibili nella politica come nella vita di tutti i giorni. In qualsiasi ambiente e in qualsiasi luogo.