Non abbiamo fatto in tempo a riprenderci dell’ultima crisi economica nel 2008, aggravata dal terrorismo internazionale, che la pandemia di Covid-19 ha attaccato le nostre società. Anziché porre un obbligo universale ad attenersi a misure di protezione, negli spazi chiusi e in quelli aperti (igiene, mascherine, distanza personale, obbligo per le categorie sensibili a restare a casa) si è pensato di chiudere tutti in casa indistintamente, chiudendo gli esercizi commerciali, interrompendo il ciclo economico retto da poche ma esose elargizioni economiche statali.

L’elemosina di Stato non ha protetto gli imprenditori e non ha eliminato gli effetti lesivi della malattia. I dettami medici, anziché essere contestualizzati all’interno del contesto politico, sono stati attuati senza tener conto che se un medico “ordina” a un paziente di stare una settimana a casa il paziente guarisce, mentre se lo ordina a un’intera nazione il corpo sociale muore. Andiamo verso il secondo anno di chiusure, più o meno continue, ed i segni di insofferenza sono stati inferiori rispetto a quelli paventati. Nessuna sommossa, nessuna rivoluzione.

Le persone ormai si attengono, per stanchezza più che per convinzione, ai dettami del regime terapeutico di Stato. Se oltre ai medici ed ai politici incapaci avessimo ascoltato anche gli storici, avremmo appreso che le pandemie sono parte del mondo umano e non emergenze di eccezionale gravità. Circa 11.000 anni fa, con il passaggio dell’uomo dalla caccia e raccolta ad uno stile di vita sedentario, le città sono cresciute e l’allevamento è diventato uno stile di vita. La coabitazione con gli animali domestici e le alte densità abitative nelle città hanno causato l’insorgere delle prime pandemie. Da un lato, dobbiamo prendere atto che, in genere, dalla peste nera al Covid-19, tutte le grandi pandemie della storia si sono originate in Asia, passando in Occidente per mezzo delle navi mercantili prima e degli aeroporti ora. Segno che l’igiene, nel nostro continente, nonostante i difetti locali, ha discreti standard. Non solo.

Altro dato rilevante è quello demografico. Si è scritto che le pandemie del passato hanno permesso un incremento del benessere successivo, grazie alla crescita demografica ed a nuove possibilità di lavoro per chi è sopravvissuto alla peste o alla spagnola. Tuttavia bisogna rilevare alcuni fattori che distinguono questa da altre pandemie: la prima è che l’umanità ha raggiunto livelli demografici senza precedenti e non saranno certo i morti per Covid a scalfirne la curva, ancora in crescita. Circa 70.000 anni fa la popolazione mondiale, secondo gli esperti, si stabilizzò per lungo tempo sul milione di individui. Nell’antichità romana la popolazione del mondo civilizzato si attestò, con fasi alterne, sui 100 milioni di abitanti. Nel lungo periodo del Medioevo la popolazione mondiale si è assestata in un numero medio presumibile di 300 milioni di abitanti, fino alla scoperta delle Americhe, che ha permesso la colonizzazione di nuovi territori.

La vera rivoluzione demografica è giunta a causa della rivoluzione industriale. Nell’Ottocento si ritiene che la popolazione mondiale aveva ormai superato il mezzo miliardo di individui. Tuttavia, soltanto col postmodernismo la demografia raggiunge livelli considerevoli, permettendo un’impennata della curva, dai 4 miliardi degli anni Settanta ai quasi 8 miliardi di abitanti del 2021. E’ quindi molto difficile che i 3 milioni di morti per Covid-19 tragicamente previsti abbiano ripercussioni sulla curva demografica, rispetto ai 50 milioni di morti causati dall’influenza spagnola e dai 20 milioni di morti causati dalla peste nel Trecento. Inoltre, il mercato del lavoro e la filiera economica erano completamente diverse rispetto a quelle di oggi.

I mercati finanziari nell’asset post-industriale avranno ripercussioni negative maggiori, rispetto a quelli del passato, perché abbiamo fermato un indotto basato sul sistema del debito-credito. In questo sistema di vasi comunicanti in cui non sono le braccia, ma il denaro, a fare la differenza, le banche in deficit si troveranno a chiedere aiuto allo Stato, in deficit anch’esso. Gli ammortizzatori sociali elargiti alle famiglie e agli imprenditori dovranno essere restituiti, verosimilmente attraverso l’aumento delle tasse e misure patrimoniali obbligate. La popolazione, una volta tornata a lavoro, sarà costretta a lavorare di più per recuperare non soltanto il tempo perduto ma anche per saldare i debiti verso il vertice. Saranno quindi necessarie nuove politiche del lavoro, da cui il “ridimensionamento” dei diritti dei lavoratori e la liquefazione di una parte delle tutele sindacali. Insomma, il Covid è stata umanamente una tragedia, ed apparentemente una catastrofe per l’economia presente; ma sarà anche una manna per le grandi aziende private che, nel futuro prossimo, si troveranno a poter godere di lavoratori a basso costo, poco tutelati e senza più un orgoglio da rivendere, né diritti rilevanti da rivendicare.

Allora, ci chiediamo: quanto queste prospettive hanno inciso sulle decisioni restrittive attuate dai governi? Quanto le decisioni di governi lontani e diversissimi tra loro sono state ispirate da esperti (economisti, medici) votati al mercato privato? Non vogliamo considerare queste domande, perché generebbero nefaste e poco verosimili conclusioni: la prima, che vi sia un oscuro suggeritore, comune per tutti, che abbia suggerito misure restrittive per il benessere della salute pubblica, ben conscio tuttavia del significato che, in termini finanziari, tali misure avrebbero portato nel riassetto del mercato finanziario capitalista mondiale. Viene alla mente l’antica frase “a babbo morto”, con cui si intendeva l’incasso di un credito con molto ritardo, senza una scadenza predefinita, fino all’avvento del trapasso del genitore. Una morte che, in alcuni casi, non fu accidentale.