Il pacchetto di provvedimenti approvati dal Consiglio Europeo con l’intesa del 21 luglio scorso ha creato un nesso strettissimo tra Next Generation EU e Quadro Finanziario Poliennale (QFP) 2021/2027. Così che il QFP, rafforzato dal Next Generation, costituirà il principale strumento finanziario europeo con una dotazione complessiva di 1824 miliardi di euro per l’intero periodo della Programmazione  2021/2027.

     Data la necessità di erogare celermente il sostegno per la ripresa, è inoltre importante creare le condizioni adeguate per la rapida attuazione dei progetti di investimento, in particolare, nelle infrastrutture. A tal fine, la Commissione Europea si sta  adoperando per accelerare ed agevolare le procedure dei singoli Stati in modo che questi ultimi possano preparare Piani nazionali per la ripresa in cui sono stabiliti le riforme e gli investimenti riguardanti il periodo 2021/2027. Il tutto entro il 31/12/2023 per quanto riguarda la definizione dei contratti del programma integrato Next Generation EU  ed entro il 31/12/2026 per la liquidazione dei relativi pagamenti.

    Detto questo, il punto fondamentale che bisogna allora evidenziare, nella prospettiva della definizione del Piano nazionale per la Ripresa del nostro Paese, è l’appello dell’Unione Europea ad aiutare con il Next Generation il Sud al fine di colmare il gap con il Nord, che non è affare esclusivo dell’Italia ma riguarda l’intera Europa.

     Con riferimento alla programmazione 2014/2020, infatti, è stato evidenziato che gli investimenti pubblici con risorse nazionali effettuati nelle Regioni del Mezzogiorno sono stati di circa il 20% inferiori agli impegni assunti dall’Italia con l’UE e questo rischia di vanificare l’efficacia della politica di coesione perseguita con i fondi strutturali. Lo ha sottolineato ufficialmente il direttore della Direzione Generale Politiche Regionali, Marc Lemaitre, in una lettera inviata al nostro Governo “con … cifre … preoccupanti sugli investimenti al Sud, che sono in calo e non rispettano i livelli previsti per non violare la regola UE dell’addizionalità”. E ciò in quanto i fondi strutturali impattano sull’economia solo se non vanno a sostituire la spesa pubblica ma rimangono un valore aggiunto. Da qui la richiesta della Commissione al nostro Paese di invertire la tendenza e garantire un adeguato livello di investimenti al Sud. Con l’avvertenza che, in caso contrario, potrebbe partire una “rettifica finanziaria” con taglio dei fondi strutturali e lancio di un partenariato con l’Italia sulla politica di coesione per il Sud.

     Questa stessa posizione è stata, poi, esplicitamente ribadita dallo stesso Lemaitre, aprendo i lavori della Settimana europea delle Città e delle Regioni: “Non conosco nessun altro Paese che ha una situazione così debole. Gli sforzi europei fatti attraverso il bilancio comunitario sono stati neutralizzati dai tagli agli investimenti pubblici nel Mezzogiorno”.

     Fare uscire il Sud dal ritardo di sviluppo che lo attanaglia è, dunque, la decisa riforma che l’Unione si attende dall’Italia. Sapendo bene che in Europa centrale gli investimenti pubblici per le Regioni meno sviluppate raggiungono il 4% del PIL, ben dieci volte di più rispetto a quanto investito nelle Regioni del nostro Mezzogiorno che registrano impieghi per un misero 0,4% del PIL. E di ciò vi è pieno riscontro nelle analisi e denunce degli Istituti e Centri studi più accreditati, come ad es. la SVIMEZ, che denunciano da tempo la drammaticità delle conseguenze sociali (in particolare, per i giovani e le donne) con la crescente tendenza ad aggravarsi della povertà e della disoccupazione.

     Per queste ragioni, dei 209 miliardi di euro previsti per il Next Generation EU, la gran parte dovrebbe essere destinata al finanziamento dei progetti presentati dalle Regioni del Mezzogiorno, in coerenza con i principi e le politiche di coesione sociale nazionale ed europea. Pacchetto di risorse al quale sarebbero poi da aggiungere le quote degli stanziamenti 2021/2027 di 27 miliardi per la politica di coesione, di 36,3 miliardi per la nuova politica agricola e di 73 miliardi per il fondo sviluppo e coesione. Il tutto per dare al Mezzogiorno un ruolo attivo nel Mediterraneo e recuperare all’Italia e all’Europa quella centralità che le scelte del Next Generation EU dimostrano di considerare indispensabile.

     Dunque, per il Mezzogiorno vi è la possibilità di un intervento di dimensione storica a sostegno  dell’economia messa in ginocchio dalla lunga fase di ristagno e dal precipitare della crisi pandemica. Occorre, però, che esso assuma una nuova visione strategica. Fatta, soprattutto, di scelte politiche in cui le Regioni si muovano coerentemente ed all’unanimità per realizzare una serie di interventi integrati fra loro, sapendo che dopo questa non vi sarà più un’altra occasione  per riprendere un cammino di crescita e di sviluppo.

     E, allora, bisogna dirlo con chiarezza e determinazione: l’esito della partita prima che decidersi al tavolo nazionale nel ‘gioco’ delle proposte del Governo e delle scelte del Parlamento si risolverà in campo regionale sulla base della capacità che governatori e politici del Mezzogiorno avranno di sapersi coordinare tra di loro per elaborare una strategia unitaria e saper resistere all’attacco già sferrato dagli interessi del Nord per destinare i soldi europei “all’Italia che produce” e che costituisce la “locomotiva” (in verità, ferma da quasi un ventennio) del Paese.

     Non si tratta, in altri termini, di costruire elenchi di opere per lo più infrastrutturali da contrapporre ai 137 progetti presentati il 21 giugno scorso alla fine dei cd. Stati generali voluti dall’Esecutivo in attesa che l’UE desse il via libera al Recovery Plan. I responsabili delle politiche regionali e locali del Mezzogiorno dovranno invece saper definire delle linee politiche innovative  e ciò non solo nei contenuti degli investimenti rientranti nell’ambito dei tre “pilastri” indicati dal Consiglio Europeo: rafforzare la resilienza e la capacità del sistema sanitario; concentrarsi sulla transizione verde e digitale; migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e l’efficacia della Pubblica Amministrazione, ma soprattutto nella metodologia di un piano strategico macroregionale che si connoti, in ultimo, per la capacità di saper coordinare la governance tra regioni, città metropolitane e province o liberi consorzi di comuni. Il che significa che bisogna rivedere i limiti sempre più gravi di un’assenza di strategia per uno sviluppo innovativo e sostenibile, nel quadro di un percorso riformatore in grado di mobilitare le potenzialità latenti per una fuoruscita dalla crisi a partire dalle difficoltà finanziarie, sociali e sanitarie e dai precari assetti del funzionamento del sistema istituzionale regionale e territoriale.

      Sarebbe senz’altro l’inizio della costruzione della più grande riforma strutturale che si possa immaginare per il Sud e l’Italia intera. In quanto avvierebbe di fatto la concretizzazione della strategia macroregionale anche per quell’area del Paese che finora vi è rimasta estranea ed invece con la sua adozione potrebbe ergersi a protagonista non solo del proprio sviluppo ma anche della rinascita dell’intero Paese, per non dire dell’intera Europa.

     È quindi una partita decisiva. Che non si può perdere. Pensando di promuovere, prima, progetti assistenziali, divisivi e frazionistici e, poi, distribuire fondi ‘a pioggia’ per l’acquisizione del consenso elettorale. Se così avvenisse, allora sì che per il Mezzogiorno non vi sarebbe più  futuro!