Il PD, visto da Insieme

Le nostre forti critiche al sistema bipolare e maggioritario, ai partiti personali e ai “nominati” non sono solo la voce di un partito fuori dal coro perché fuori dai giochi del Palazzo.

Articolo pubblicato sulle pagine della rivista Rinascita Popolare

Non posso che ringraziare Vincenzo Ortolina per aver proposto il suo articolo pubblicato giorni fa su C3dem come replica al mio ultimo editoriale (CLICCA QUI). Il suo scritto e l’ampio commento aggiunto da Sandro Campanini, che mi erano sfuggiti, permettono di approfondire un confronto che può solo avere effetti positivi su un auspicabile nuovo protagonismo politico dei cattolici democratici.

Credo possiamo dare per nota la storia del PD, a partire dal discorso di Valter Veltroni al Lingotto di Torino sino all’ultima segreteria di Enrico Letta. Ovviamente meno scontata è la conoscenza di Insieme, il nuovo partito avviato lo scorso 4 ottobre dall’Assemblea costituente a Roma, sulla scia del cosiddetto “Manifesto Zamagni”. Essendo tra coloro che lo hanno fondato, posso definirne alcuni aspetti che dallo scritto di Ortolina escono in modo non corretto.

Innanzitutto Insieme non è, né vuole essere, un “partito cattolico” o “dei cattolici”. La sua dichiarata “ispirazione cristiana” e il riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa non hanno nulla di confessionale o integralista, ma si traducono in una proposta politica programmatica, aperta a credenti e non credenti su un piano di assoluta laicità. Un partito inclusivo per tutte le persone “di buona volontà”, che chiede adesione e consenso sulla base del proprio programma, come fece Luigi Sturzo con il suo Partito Popolare. All’iniziale documento politico-programmatico approvato in Assemblea sta proseguendo un continuo lavoro dei Dipartimenti tematici: per essere nati da pochi mesi abbiamo già prodotto molti contenuti che si possono leggere sul nostro sito (www.insieme-per.it) e altri ne definiremo nel prossimo futuro. Penso così di aver anche chiarito a Campanini che è proprio sulle proposte concrete e non “sull’appartenenza confessionale” che Insieme vuole misurarsi.

Non siamo poi nati per occupare uno spazio geometrico, quel “centro” tanto citato e ambito. Intendiamo qualificarci per il programma, e semmai ricerchiamo la “centralità dei problemi”, quelli che ci permettono di entrare in sintonia con la gente, preoccupata per il proprio futuro reso ancora più incerto dalla pandemia. Concordo con Franco Monaco quando dice che “servono scelte di valore e ricette che sanno di radicalità, non di centro moderato”: infatti, e lo dico a Ortolina, Insieme non è un ennesimo tentativo di riproporre la DC. Bastano e avanzano le otto DC citate da Nino Luciani sul “Corriere”, tutte convinte di essere quella legittima in una penosa guerra a colpi di carte bollate. Penso che la Democrazia cristiana non meriti questo, e vada consegnata alla storia con l’affidamento dello scudo crociato agli archivi dell’Istituto Sturzo.

Insieme vuole essere un partito “nuovo”: “nuovo” perché partito di programma, perché fautore di una politica per e non contro, perché usa il linguaggio del “sì sì, no no”, perché autonomo e alternativo al fallimentare sistema politico della Seconda Repubblica, perché rifiuta il leaderismo e si basa sul coinvolgimento delle persone e delle realtà associative nei territori, favorendo così la nascita di una classe dirigente di “facce nuove”.

Un partito che si ritiene politicamente “antagonista alla destra e alternativo alla sinistra”. Ortolina lamenta che così si mettono “sostanzialmente sullo stesso piano il PD e la destra di oggi, autoritaria, opportunista (…) e rozza”. Credo che gli aggettivi nella lingua italiana non siano usati a caso: antagonista significa “che è in opposizione, in contrasto”; alternativo vuole dire “che offre una possibilità di scelta” (dalla Treccani). La differenza è evidente, e non mi dilungo oltre. Così come non tratto le tante affinità, molte delle quali elencate da Ortolina stesso dopo aver letto i nostri documenti fondativi. Dovendo sceglierne una sola, direi l’ammirazione per lo straordinario magistero di papa Francesco.

Credo invece valga la pena soffermarsi sugli aspetti negativi che imputiamo al PD, in modo che siano ben chiare a chi ci legge le differenze sostanziali con Insieme. Le suddivido in punti.

1. Ortolina ha opportunamente richiamato la nostra dura critica a egoismi sociali e individualismo libertario, e ritiene che in Italia tali aspetti siano riconducibili soprattutto all’epopea televisiva e politica di Berlusconi. C’è del vero, ma non è possibile dimenticare il ruolo svolto a servizio del cosiddetto turbocapitalismo dalle élite liberal mondiali, in particolare statunitensi, cui il PD – a partire da Veltroni – ha sempre guardato come un esempio da seguire. Parlando di questi temi, domando spesso ai miei interlocutori quale presidente USA eliminò la distinzione tra banche territoriali e banche d’affari, risalente agli anni Trenta per evitare il ripetersi del crollo di Wall Street. Molti rispondono Reagan, considerato un falco liberista, Pochi sanno che fu invece il democratico Bill Clinton, nel 1999. Meno di dieci anni dopo sarebbero arrivati il fallimento di Lehman Brothers e la crisi dell’economia di carta. Quindi il ruolo dei liberal e radical-chic nella crisi dei valori e nei guasti dell’economia globalizzata non deve far sorridere, essendo un dato di fatto. Ci sarà un motivo se Trump (e meno male che ha perso…) alle ultime presidenziali ha raccolto 70 milioni di voti, e non tutti di fanatici suprematisti bianchi.

2. Il PD ha progressivamente cambiato pelle in un aspetto fondamentale per chi fa riferimento al Popolarismo: da partito delle autonomie locali, dei municipi, della rappresentanza territoriale anche delle aree più periferiche, si è scoperto via via più centralista, è diventato prima partito delle aree metropolitane, forse più redditizie elettoralmente ma espressione di un’Italia parziale, poi il “partito della ZTL” incapace di comprendere il disagio delle periferie.

3. Nato come “casa comune delle culture riformiste”, il PD da un lato ha dovuto sempre fare i conti con la mai sopita tendenza egemonica di chi proveniva dall’ex PCI (causa prima dell’amalgama mal riuscito riconosciuto dallo stesso D’Alema); dall’altro si è sempre più caratterizzato come il partito dei diritti civili e individuali (tralasciando i diritti sociali, le comunità e i corpi intermedi), che lo hanno via via trasformato in un partito radicale di massa. Il disagio di molti cattolici, anche progressisti, per le politiche PD alla Cirinnà è un dato di fatto.

4. Da “partito plurale”, evoluzione della coalizione dell’Ulivo, il PD si è trasformato in “partito del leader”, abbracciando senza remore questa caratteristica della politica degli ultimi decenni introdotta da Berlusconi. Con Renzi regnante abbiamo visto espressioni di di culto della personalità non dissimili da Arcore e dintorni. I partiti personali si sono rafforzati con leggi elettorali che hanno accentrato la scelta degli eletti (i nominati) nelle mani dei capi partito, di fatto premiando il servilismo e non il merito.

5. La Seconda Repubblica si è caratterizzata per la ricerca di un sistema bipolare favorito da leggi elettorali maggioritarie, addirittura anticostituzionali. Il PD nasce a vocazione maggioritaria con Veltroni e mantiene questa linea con Letta. La crisi della rappresentanza parlamentare, la credibilità ai minimi termini dei partiti e della politica sono sotto gli occhi di tutti. Il bipolarismo ha fallito : Letta però continua a riproporlo, e anche Ortolina parla di “competizione giustamente bipolare”. Su questo, e sul resto elencato prima, siamo distanti.

Le nostre forti critiche al sistema bipolare e maggioritario, ai partiti personali e ai “nominati” non sono solo la voce di un partito fuori dal coro perché fuori dai giochi del Palazzo. Il preoccupante discredito della politica, e quindi delle istituzioni, viene certificato dal crescente astensionismo elettorale, salito al 47% nelle ultime elezioni di valore politico, le europee del 2019. Il noto sondaggio IPSOS sul voto dei cattolici ha rivelato che non è andato a votare addirittura il 52%. Tra i restanti che hanno scelto un partito, 16 su 100 hanno votato Lega, 13 il PD, 7 i Cinquestelle, 5 Forza Italia e 3 la Meloni. Nel PD vi sono politici affermati che si richiamano alla cultura cattolico democratica – Letta, Franceschini, Del Rio, a Torino Lepri, a Milano Pizzul (con cui mi sono confrontato in un dibattito organizzato dai Popolari di Lecco) e altri – ma la loro capacità di rappresentanza si ferma a quel deludente 13%, in una situazione di sostanziale monopolio del PD nel campo del centrosinistra. È un problema di credibilità ormai perduta, come ho cercato di spiegare in un articolo di qualche tempo fa (CLICCA QUI). C’è chi continua a farsi andare bene tutto, la “ditta” bersaniana come il partito di Renzi, passato però dal 41% sulla fiducia al 18% una volta visto all’opera. E mai che ci sia stata un’autocritica vera: basta cambiare segretario e salire tutti insieme sul suo carro…

Ma questi possono essere giudizi soggettivi. Di oggettivo resta che l’offerta politica è inadeguata se metà dell’elettorato diserta le urne. Anche Franco Monaco dovrebbe farsene una ragione.

Per ampliarla in modo credibile occorre cambiare il sistema. Cominciando col restituire al cittadino elettore il reale potere di scegliere il partito e le persone che meglio lo rappresentano. Proporzionale e preferenze. Basta bipolarismo, premi di maggioranza, “nominati, strenuamente difesi dai protagonisti del logoro teatrino della politica odierna, compreso il rientrante Enrico Letta.

Ecco spiegato, senza alcun astio ma con lucida serenità, caro Ortolina, cosa oggi ci divide dal PD. Non sappiamo se Insieme riuscirà ad essere protagonista delle elezioni politiche nel 2023. È un cammino lungo e impervio quello che abbiamo intrapreso. Vedremo cosa riusciremo a fare. Invece, chi continua ad aspettare la trasformazione del PD, ricorda un po’ sia il Godot di Beckett sia il don Abbondio manzoniano, prudentemente schierato all’ombra del potere. I tempi richiedono cambiamenti, da perseguire con coraggio: quello che non dovrebbe mancare a chi si richiama ai “liberi e forti”.