Il Pnrr e il riformismo in Italia. L’intervento di Gallo, ex Presidente della Consulta, sul Working Paper della Fondazione Ezio Tarantelli. 

Il Pnrr e il riformismo in Italia. L’intervento di Gallo, ex Presidente della Consulta, sul Working Paper della Fondazione Ezio Tarantelli. 

Pubblichiamo di seguito la parte conclusiva del contributo di Franco Gallo. Di rilievo, nella prima parte, l’affermazione seguente: “La pandemia ci costringe a constatare che non esiste un capitalismo davvero praticabile senza un forte sistema di servizi pubblici e senza una protezione dei beni (comuni) globali di interesse collettivo, quali sono appunto non solo la salute, ma anche l’istruzione, l’ambiente, la cultura e la biodiversità”. 

 

Franco Gallo

 

[…] nonostante le disponibilità offerte dal Recovery Fund e, in particolare, in Italia dal Pnrr, il costo di tutti questi impegnativi interventi non sarà in futuro di facile copertura; basti tenere presente che la «manovra 2020» pensata dal Governo prevedeva per la riforma fiscale un fondo di soli 2,3 Mld «liberi». Come è evidente che, nell’attuale contingenza, l’unico strumento fiscale per finanziare il rilancio della produttività, dare una direzione alla crescita e ridurre il più possibile le disuguaglianze dovrebbe essere il recupero dell’evasione. Ma tutti sappiamo che tale strumento, anche se ci fosse una reale volontà politica di realizzarlo, non potrebbe fornire, nel breve e medio termine, le necessarie, consistenti maggiori entrate.

Stando così le cose, la via da seguire non può che essere quella di considerare la relativa spesa per quella che è: una spesa per investimenti pubblici da finanziare con il debito (c.d. spesa pubblica qualificata). Il che non sarà facile perché richiederebbe l’esclusione di questo tipo di spesa dall’applicazione dell’aurea regola comunitaria del pareggio di bilancio, quando e se questa sarà reintrodotta alla cessazione della crisi pandemica.

Se comunque, dopo e a causa di tale crisi, l’Ue si dimostrasse incline a concedere tale esclusione e quindi a ripensare, seppure parzialmente, il Patto di stabilità e crescita, anche riguardo ai paesi fortemente indebitati come l’Italia, mi pare però inevitabile che essa richiederebbe al nostro paese l’impegno a definire dette spese secondo stringenti regole comuni. Tra tali regole, la più importante sarebbe quella di sottoporre la relativa decisione sia a controlli rigorosi sulla loro destinazione d’investimento da parte della Commissione, sia a forme di copertura comunitaria a debito, nonché a forme di garanzia, diretta e indiretta, del bilancio europeo. 

Come ci avvertono gli economisti keynesiani, l’esito positivo di una tale operazione dovrebbe essere (quasi) scontato. Se gli investimenti consentiti in deficit fossero oculati e produttivi, il tasso di crescita del reddito da essi prodotto sarebbe, infatti, superiore al tasso di interesse pagato sul debito, con la conseguenza di ridurre col tempo il rapporto tra debito pubblico e Pil. Non sappiamo se gli altri Stati membri dell’Ue saranno disposti in futuro ad accettare una siffatta eccezione al principio del pareggio e, in caso positivo, sela maggioranza delle forze politiche italiane, accetteranno gli stretti controlli europei sopra ricordati. 

Ho però l’impressione che, quando gli effetti dell’applica- zione del Recovery Plan saranno esauriti e il nostro paese dovrà puntare alla ripresa economica senza avere più il sostegno di aiuti eccezionali e senza poter realizzare una riforma impegnativa che garantisca un consistente aumento di entrate fiscali, il non poter fruire anche della possibilità di effettuare questi tipi di spesa a debito aggraverà – nonostante lo scudo che la Bce potrebbe offrire – la sua già critica situazione economica e finanziaria.

 

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(Testo integrale – pp. 11/14 del Working Paper)

 

https://ildomaniditalia.eu/wp-content/uploads/2021/12/n.-23-del-Working-Paper.pdf