L’uscita di Grillo non può essere banalizzata. In un consesso europeo, dove per altro si è premurato di lodare la Presidente Ursula von der Leyen per il suo programma aggiornato in materia di economia verde e digitale, il fondatore del MoVimento ha infiocchettato il risultato del referendum con una solenne scomunica della democrazia parlamentare. L’ex comico ritiene, e non da oggi, che i parlamentari dovrebbero essere scelti per sorteggio, non si sa bene con quali garanzie sulla congruità di un loro servizio agli interessi generali della nazione. Nominati per caso, perché non dovrebbero agire con analoga casualità, magari confondendo il bene comune con i propri  divisamenti, forse non sempre ingenui o innocenti? Sta di fatto che all’indomani della vittoria del Sì la parola d’ordine che Grillo rilancia è quella dell’antiparlamentarismo.

Curiosamente, lungo una traiettoria opposta, l’ex Capo politico dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, si era preoccupato in queste ore di spiegare che l’esito referendario non costituisce nessun avallo a visioni di segno alternativo alla democrazia rappresentativa. Non è una distinzione che rimandi a semplici questioni di gusto, come scegliere con un amico se bere vino o birra davanti a una pizza alla margherita. Quello che si registra, ad occhio nudo, è il declino scomposto ed accelerato di un aggregato politico incapace di crescere fuori dalla culla del suo confuso rivoluzionarismo, tanto confuso da suscitare dubbi, fin dall’inizio, sulla bontà delle sue ragioni costitutive e peggio ancora delle sue modalità di funzionamento. Troppe ambiguità, insomma, se è vero che ormai si fa prima a raccontare i litigi che non i pensieri unificanti dei vari capi e capetti pentastellati.

Anche la Raggi ha voluto rimarcare la sua soddisfazione per la risposta dei romani all’appello referendario. Ora, agli analisti del voto non è sfuggito il successo del No in quella parte di città – I e II municipio – che coincide largamente con il centro storico, ma non senza inglobare quartieri (ad esempio il Delle Vittorie dove insiste la Rai) non identificabili con la Roma degli uffici ministeriali. La Signora Sindaco ha ritenuto di poter vagliare il comportamento elettorale dei suoi concittadini in base a una superficiale distinzione,  quella tra centro e periferia della città, sicché i benestanti avrebbero votato per la conservazione, contro la novità della riforma taglia-poltrone. Sta di fatto, invece, che l’esame frettolosamente sviluppato nasconde una verità inconfessabile: l’elettorato più informato e consapevole, anche per qualificazione professionale, ha opposto rifiuto a una operazione che nasce all’insegna del bieco disprezzo della politica. Dovremmo parlare, dunque, di consapevolezza ed equilibrio, non di conservatorismo.

Certo, i tanti italiani che hanno scelto di opporsi alla modifica costituzionale sono espressione di una Italia che non accetta la camicia di forza delle mistiche rousseauiane, ma non per questo è un’Italia che possa incarnare sic et sempliciter l’identità di un pre-partito. Sono state diverse, come sappiamo, le motivazioni a sostegno del No. Orbene, se urge effettivamente il bisogno di una nuova rappresentanza, ad essa occorre allegare la fatica del confronto con questo 30 per cento schierato sull’altro lato della barricata, contro il dilagare della demagogia e dell’incompetenza.  Non basta deprecare le insensatezze di Grillo, direttamente connesse a un disegno di decostruzione dello Stato liberal-democratico, ma serve portare sul terreno della concretezza politica la spinta di un elettorato che rifugge dall’ondeggiamento anarcoide e furbesco dei paladini di una politica ridotta a fast food.