Il prete dei baraccati di Roma

È morto don Roberto Sardelli

Articolo già apparso sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Fabrizio Contessa

«Il luogo dove viviamo è un inferno, l’acqua nessuno può averla in casa. L’umidità ci tiene compagnia per tutto l’inverno. Il caldo soffocante l’estate. I pozzi neri si trovano a pochi metri dalle nostre cosiddette abitazioni. Tutto il quartiere viene a scaricare ogni genere di immondizie a 100 metri dalle baracche. Siamo in continuo pericolo di malattie. Quest’anno all’Acquedotto due bambini sono morti per malattie, come la broncopolmonite, che nelle baracche trovano l’ambiente più favorevole per svilupparsi». È uno dei passaggi più drammaticamente eloquenti di Lettere al sindaco il documento-denuncia, siamo nel 1968, firmato da don Roberto Sardelli, il sacerdote romano, originario di Pontecorvo, morto ieri a 83 anni. Conosciuto come il “prete dei baraccati”, Sardelli è stato negli anni del post-concilio uno di quei coraggiosi protagonisti di una Chiesa desiderosa di recuperare la freschezza e la radicalità dell’annuncio evangelico. Nomi come Lorenzo Milani, Luigi Di Liegro, Andrea Santoro sono a vario modo legati alla sua figura, come anche l’esperienza dei preti operai in Francia e il convegno diocesano del febbraio 1974 sulle «attese di carità e giustizia», passato alla storia come il convegno sui “mali di Roma”.

Il suo ministero sacerdotale è stato costantemente segnato dall’attenzione agli ultimi, agli scartati della società descritti in quegli anni con impressionante lucidità dal genio poetico di Pier Paolo Pasolini. In tempi più recenti è stato vicino ai malati di aids e ai nomadi. Ma l’esperienza che lo ha profondamente segnato, favorendone i successivi sviluppi, è stata quella vissuta tra il popolo dei baraccati — immigrati a migliaia dalle regioni meridionali — allora poveramente assiepati sotto le arcate dell’Acquedotto Felice, nella periferia orientale della città. Giovane sacerdote presso la vicina parrocchia di San Policarpo non si accontentò di vivere “accanto” a questa miseria. Acquistata una baracca da una prostituta, si trasferì all’ombra degli antichi ruderi trasformando quei poveri nove metri quadri nella “Scuola 725”, dal numero civico assegnato al casotto, che accoglieva quei bambini che nella scuola pubblica che frequentavano al mattino finivano spesso nelle classi differenziali. «Proposi ai ragazzi lo studio come leva per uscire da una situazione umiliante in cui la città del centro li aveva gettati», racconterà il sacerdote. Si è trattato di «una delle più straordinarie iniziative di pedagogia popolare in Italia nel secondo dopoguerra», ha riconosciuto l’Università Roma Tre che nel novembre scorso ha conferito a don Sardelli la laurea “honoris causa”.