A tarda sera Renzi ha scritto ai suoi di Italia Viva che “una crisi come questa merita di essere risolta in modo trasparente”. In effetti, se un osservatore disincantato dovesse valutare l’andamento delle trattative e le evoluzioni finora registrate, dovrebbe concludere che tutto è poco trasparente. Si ha l’impressione di un qualcosa che gli attori della crisi cercano di tenere lontano dai riflettori, per tentare di far quadrare i conti di questo laborioso è complicato riordino della vecchia maggioranza. Mentre la scena pubblica contempla il tramestio dei “colonnelli” attorno alla definizione di nuove tavole programmatiche, lungo i fili invisibili dei cellulari e dei computer si svolge la faticosa conversazione dei “generali” per sciogliere il nodo degli assetti di governo.

Potrebbe anche succedere che l’incaricato dell’esplorazione torni al Quirinale con l’intento di chiedere una proroga e che Mattarella possa anche concederla, qualora un accordo a tempi stretti venisse prospettato. Tutto sembra possibile. In realtà, l’equilibrio tra una certa convalida del lavoro svolto e una certa discontinuità nel futuro impegno determina lo stallo della mediazione a cui è votata la fatica del Presidente Fico. Cambiare solo l’Azzolina o la Lamorgese, senza toccare l’architettura del Conte bis, farebbe insorgere anche l’opinione pubblica più accomodante. Tanto rumore per nulla! Ed è chiaro che Renzi recalcitri di fronte a questo esito sbiadito di un confronto fin quasi palingenetico nelle aspirazioni originarie. Per questo i bisbìglii delle anticamere del potere lasciano ancora dubitare che l’incarico di formare il nuovo governo possa essere conferito al vecchio inquilino di Palazzo Chigi.

Le quotazioni di Conte rimangono incerte. Se dovesse risultare inamovibile, fino in fondo e per fatale convenienza delle parti, allora parrebbe inevitabile un ampio rimpasto ministeriale; viceversa, se fosse lui il capro espiatorio, si ridurrebbe di molto lo spettro delle novità, eminentemente in funzione di una più oculata distribuzione del potere. L’aver minacciato le elezioni anticipate, con in più l’ambizione di mettere in piedi il suo partito personale, ha travolto le barriere protettive di una terzietà fortemente esibita come valore di servizio, per il bene della coalizione. L’aria di palazzo s’è dunque caricata di veleni, finanche a decretare l’urgenza di un preventivo tirannicidio, a scanso di equivoci. Che poi Biden non sia entusiasta di “Giuseppi”, forse a cagione di qualche suo indecoroso traffico con Trump, è solo un po’ di sale che si aggiunge a una minestra troppo sapida. Conte è il problema di questa crisi.