Dunque, il quesito sul prossimo referendum confermativo inerente il taglio dei parlamentari ruota attorno ad una domanda di fondo: e cioè, la democrazia costa troppo e quindi vanno tagliati i fondi. È il dogma, del resto, che ispira da sempre le forze populiste e demagogiche che hanno vinto le elezioni politiche del marzo 2018. Una cultura e una prassi che attraverso la lotta spietata, cinica e spregiudicata contro l’anti casta e il cosiddetto “sistema” punta a ridurre esplicitamente la stessa rappresentanza democratica con conseguenze incalcolabili per la conservazione e la qualità della nostra democrazia. Certo, si tratta di forze politiche e di movimenti che storicamente si scagliano contro la casta – del passato – e i suoi rappresentanti e poi ne copiano, notoriamente in peggio, tutti i vizi e le degenerazioni. Perchè fanno del potere e del suo consolidamento la stella polare del comportamento concreto nelle aule parlamentari. Attraverso un uso, altrettanto cinico e spregiudicato, della pratica trasformistica. 

Ma, per tornare al quesito referendario e al sussulto di dignità che finalmente si comincia a intravedere qua e là nelle forze politiche non ispirate dal populismo e dalla demagogia anti parlamentare e anti istituzionale, va pur detto che la secca riduzione della rappresentanza parlamentare non può essere affrontata e corretta solo con una adeguata – e seppur necessaria ed indispensabile – legge elettorale. Meglio, comunque sia, se ispirata al sistema proporzionale. Perchè il disegno politico che caratterizza questa impostazione non può che essere finalizzato ad una riduzione degli spazi democratici, ad una concentrazione del potere e, soprattutto, ad un sistema che azzera la partecipazione a vantaggio di un ritorno del notabilato e della designazione degli eletti dall’alto. Perchè ogni riduzione degli spazi democratici segna, inesorabilmente, una sconfitta della democrazia e dei suoi istituti. E ciò anche perchè quando si introduce nel dibattito politico la concezione che la democrazia rappresentativa è sostanzialmente uno spreco di denaro, che la democrazia “costa” troppo e che il risanamento e la bonifica del sistema politico, democratico e costituzionale passano attraverso esclusivamente una riduzione dei costi, sai da dove parti ma non sai dove puoi approdare concretamente. Fuor di metafora, se la democrazia è solo un costo ma perchè allora non ridurre all’essenziale e all’estremo tutte le assemblee rappresentative? Dal Parlamento alle Regioni, da ciò che resta delle Province ai Comuni, dalle Unioni Montane a tutti gli organismi democratici e rappresentativi del nostro paese. Tutto sarebbe molto più semplice. Se costa si taglia. Con tanti saluti alla democrazia, alla sua rappresentanza, ai suoi istituti e al ruolo che la stessa cultura e prassi costituzionale hanno avuto e continuano ad avere nella società italiana. 

Ma i e che spiega e giustifica questa richiesta di taglio della democrazia. E cioè, il dogma del populismo anti politico, anti parlamentare e vagamente anti istituzionale. Si tratta, cioè, di fare i conti con questa involuzione democratica e costituzionale contemplata e riassunta dal verbo populista. Su questo versante, tocca prevalentemente alle culture riformiste e costituzionali battere un colpo e farsi sentire nel confronto politico sul quesito referendario. A cominciare dai cattolici democratici, dalla sinistra democratica e dalle forze liberali e conservatrici della destra e del centro destra italiano. E, per fermarsi ai cattolici democratici, popolari e sociali riconducibili al grande patrimonio ideale del cattolicesimo politico italiano, si tratta di una battaglia a cui non si può guardare con indifferenza e mera convenienza momentanea. Perchè la qualità della democrazia, la difesa dei suoi istituti, la centralità del Parlamento, la salvaguardia della sua rappresentanza democratica e liberale non sono tasselli che possono essere oggetto di scambio politico e di governo. Quando in discussione c’è il profilo e la natura della nostra democrazia, così ci hanno insegnato i nostri “maestri”, non c’è mercanteggiamento che tenga o convenienza qualsiasi che possano giustificare la rinuncia o la rassegnazione a praticare i nostri valori e la nostra cultura di riferimento. Quando è in gioco la democrazia si deve scendere in campo. Democraticamente, civilmente ma si deve battere un colpo. Pena la progressiva ed irreversibile rassegnazione ad una cultura e ad una prassi a noi estranei e del tutto inconciliabili con i nostri valori e i nostri convincimenti ideali, culturali e storici. 

Ecco perchè attorno al prossimo referendum sul taglio dei parlamentari deve decollare un confronto politico, culturale e istituzionale dove i cattolici democratici non possono e non devono assentarsi per ragioni momentanee e di pura convenienza elettorale o contingente.