Nel momento in cui il processo di attuazione del regionalismo differenziato -richiesto in particolare dalle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto- sembra faccia registrare una ulteriore pausa di riflessione, all’Università di Messina, per una fortunata coincidenza temporale, ad iniziativa dei Dipartimenti di Giurisprudenza e di Scienze politiche ed organizzato dai professori Franco Astone e Giovanni Moschella, si è svolto un interessantissimo convegno di studi su “Specialità e differenziazione.

Le nuove frontiere del regionalismo italiano” nel corso del quale, accanto ad innumerevoli profili, prepotente è balzata all’attenzione del dibattito la quistione del rapporto tra autonomia differenziata e principio di sussidiarietà. Tema, fino all’avvento dell’attuale Governo ‘giallorosso’, ampiamente trascurato, se non del tutto ignorato. Basti pensare che le varie edizioni di ‘bozze d’intesa’ tra Regioni e Stato, che si sono succedute a seguito della ripresa dell’iter per l’attuazione dell’art. 116/3 Cost. iniziata con la celebrazione il 22 ottobre 2017 dei famosi referendum popolari di Lombardia e Veneto, non ne fanno cenno alcuno. Come, del resto, la stessa dottrina giuspubblicistica, che fin qui non si è mostrata particolarmente interessata. Non che, ad esempio, non abbia ricordato al Governo che la nostra è una Repubblica delle Autonomie e non un sistema duale Stato-Regioni. Anzi è stato chiaramente detto che l’ordinamento repubblicano per fare un salto di qualità verso il federalismo comunitario non può prescindere dal protagonismo dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Province (nella loro dimensione di sistemi urbani diffusi). Ciò nonostante, però, fino ad ora, anche il dibattito scientifico-istituzionale non ha dato grande rilievo al ruolo ed alle funzioni degli Enti Locali nel prospettato nuovo ordinamento regionale ad autonomia differenziata.

La bozza di disegno di legge generale predisposta per rimettere nei giusti binari l’iter delle intese con le Regioni dal ministro per gli Affari regionali e delle Autonomie, Francesco Boccia, ha, invece, previsto alla lettera c) del primo comma dell’art. 1 che “nelle materie oggetto di attribuzione differenziata” bisogna rispettare i “principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, previsti dall’art. 118 Costituzione”, oltre il principio solidaristico che connota il sistema degli Enti locali.

Introducendo così un positivo rivoluzionamento di tutta la questione del regionalismo asimmetrico, almeno per il modo come era stato prospettato fin qui, sia sul piano procedurale che sostanziale.

Ma se questo è vero, per quanto attiene al profilo procedurale, allora, non può essere il parere che Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto -per rispettare il dettato dell’art. 116/3 Cost.: “sentiti gli enti locali”- si sono affrettate a procurarsi attraverso i rispettivi Consigli delle Autonomie Locali, le prime due Regioni, ed un’apposita Assemblea costituita con provvedimento della Giunta, la terza Regione, ad ottemperare al principio di sussidiarietà. Al di là del burocratico adempimento ad una formalità, il parere obbligatorio ma non vincolante non mi pare che sia in grado di coinvolgere pienamente gli Enti locali. Lo conferma il fatto che nelle Regioni interessate non si sia svolto alcun dibattito di merito con le istituzioni locali e, soprattutto, che nessun indirizzo dei Comuni, delle Città o delle Province sia stato preso in considerazione dalle Regioni per rivolgere le loro richieste di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” allo Stato.

Per adeguarsi a questa svolta ed attuare un coinvolgimento reale delle Istituzioni locali, invece, io credo che il rapporto tra Regione ed Enti locali debba superare il semplice parere, anche se obbligatorio, e trasformarsi in una vera e propria intesa vincolante per entrambe le parti. Non solo. Ma ritengo anche che le intese così raggiunte presso le singole Regioni non possano essere negoziate e definite con il Governo nazionale senza un passaggio anche dalla nazionale Conferenza unificata per coinvolgere gli Enti locali del resto del Paese non direttamente interessati ai singoli accordi regionali.

E qui entriamo nel merito del rapporto tra regionalismo differenziato e principio di sussidiarietà che finora è stato escluso per via di una interpretazione del primo (il regionalismo differenziato) come capace di trasferire alle Regioni, in ordine alle materie del terzo e del secondo comma (limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, alle norme generali sull’istruzione ed alla tutela dell’ambiente e dei beni culturali) dell’art. 117 Cost., non solo la potestà legislativa ma anche quella inerente le funzioni amministrative che, in virtù dell’art. 118 Cost., è invece di competenza generale dei Comuni e solo sussidiariamente, “per assicurarne l’esercizio unitario”, può essere attribuita ad altre istituzioni come le Regioni sulla base dei principi di differenziazione ed adeguatezza. Giammai in termini generali. E soprattutto partendo dal vecchio criterio del “parallelismo delle funzioni” secondo il quale la funzione amministrativa segue quella legislativa e quindi in origine è competenza di chi è titolare di quest’ultima. E’ stata proprio il capovolgimento di questo principio una delle ‘rivoluzioni’ introdotte dal nuovo Titolo V della Costituzione e non può essere certo una norma di attuazione di esso (come le costruende intese Stato-Regioni) a determinarne un vulnus così clamoroso.

Tanto che l’annunciato disegno di legge del ministro Boccia, sempre alla lettera c) del primo comma dell’art. 1, si preoccupa di affermare che “al conferimento delle funzioni (alle Regioni) si procede tenuto conto delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane definite dalla legislazione statale, ai sensi dell’art. 117, 2° comma, lettera p) della Costituzione”. Ora, è vero che qui non si tratta delle funzioni amministrative inerenti le ulteriori materie legislative attribuite alle Regioni in virtù dell’art. 116/3 Cost., ma avere evocato l’intangibilità delle competenze amministrative fondamentali delle Istituzioni locali fa immediatamente capire che la regola richiamata è insopprimibile e quindi che non si può giustificare che le Regioni nel chiedere “le ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” ritengano di potere diventare attributarie di tutte le funzioni amministrative inerenti le materie loro devolute dallo Stato.

Al proposito, però, è da sottolineare che il ddl. predisposto da Boccia, per quanto costituisca un passo importante nella giusta direzione, non è ancora soddisfacente. Perché il vero obbiettivo di una amministrazione sussidiaria non si realizza con il solo rispetto da parte delle Regioni delle materie attribuite agli Enti locali come funzioni fondamentali ma con il riconoscimento in capo a questi ultimi di tutte le funzioni amministrative ivi comprese quelle che sono connesse con le funzioni legislative che saranno ulteriormente devolute alle Regioni. Il che significa che le funzioni amministrative che dovessero essere trasferite in base all’assegnazione alle Regioni delle competenze legislative non si allocano automaticamente in capo a queste ultime ma soltanto nella misura in cui, in base al principio di sussidiarietà, le Regioni si rivelino le istituzioni più adeguate ad esercitarle.
Di tutto ciò, però, come cennato, nella bozza Boccia non c’è molto.

Anzi al 3° comma dell’art. 2 si dice che “i beni nonché le risorse finanziarie, umane e strumentali correlate alle funzioni attribuite ai sensi delle intese” sono assegnate alle Regioni, lasciando quindi intendere che saranno queste ultime a decidere se e come devolverle ai Comuni ed alle altre istituzioni locali. Circostanza che, evidentemente, contrasta con il modello delineato dall’art. 118 Cost. ma che rileva soprattutto perché annienterebbe i presupposti che devono motivare la richiesta del riconoscimento dell’autonomia differenziata. Infatti, se non sono l’efficienza e l’efficacia degli apparati amministrativi che presiedono allo sviluppo culturale, sociale ed economico, quali sono le ragioni che possono giustificare il riconoscimento dell’autonomia differenziata ad una Regione?

Non certo lo sviluppo del suo apparato amministrativo che mortificherebbe non solo le esigenze di crescita dei territori concreti che ne formano lo spazio geografico ma anche quelle dell’intero Paese che soltanto da una cooperazione generale di tutte le Autonomie può trarre la spinta necessaria ad una sua ripresa.

Del resto, come è noto, oggi tutti i processi di sviluppo partono ed hanno come soggetti propulsori le Istituzioni locali ed, in particolare, le grandi Città. Senza un loro protagonismo difficile è immaginare percorsi virtuosi di sviluppo e di progresso economico, sociale, culturale. Le Regioni (soprattutto, queste Regioni derivanti dai Dipartimenti statistici di Piero Maestri e Cesare Correnti) non possono quindi farcela da sole. Sarebbero travolte dal ritorno di una logica da microstaterelli. Per evitarlo, l’apporto degli Enti locali diventa allora irrinunciabile ed il ddl. Boccia deve sancirlo pienamente.