Ad ogni composizione del governo, e anche puntualmente dopo la formazione dell’ultimo esecutivo, cresce altrettanto puntualmente il “rimpianto” per la classe dirigente politica del passato. Quando dico il passato cito esplicitamente la cosiddetta, e tanto biasimata, “prima repubblica”. Certo, si tratta di una fase storica che è stata quasi criminalizzata sotto il profilo politico da tutti coloro che erano all’opposizione e sicuramente fortemente bistrattata e ridicolizzata. In particolare da quasi tutta la storiografia della sinistra politica, culturale ed intellettuale del nostro paese riconducibile al Pci e ai suoi numerosi addentellati. Ma un fatto e’ comunque indubbio: e cioè, quella classe dirigente era fatta da statisti, da autorevoli e qualificati dirigenti di partito o da personaggi che si erano particolarmente distinti nell’esercizio quotidiano della loro professione. Insomma, era una classe dirigente riconosciuta nel paese. Ovvio, pur senza santificare disinvoltamente e allegramente tutta quella stagione. Ma quando si ricordano molti di quei ministri e quegli esponenti politici cresce lo scoramento e la disillusione. 

Ora, senza dilungarsi in questa analisi sufficientemente oggettiva per essere approfondita, credo che sia però anche sbagliato continuare a fare confronti tra quella stagione e la realtà con cui dobbiamo fare i conti oggi. Altroché tracciare confronti impropri tra ieri, o l’altro ieri, e l’oggi. E quindi tra la Dc vera e quella che qualcuno vorrebbe scimmiottare. E’ quasi inutile, al riguardo, fare nomi e cognomi. Che senso ha, ad esempio, confrontare il magistero politico e di governo di due esponenti politici – mi limito ai miei maestri politici, Carlo Donat-Cattin e Guido Bodrato – con quelli che ricoprono adesso quegli incarichi e quei ruoli? Sarebbe una operazione irrispettosa e politicamente scorretta. E questo per due semplici ragioni di fondo che non possiamo dimenticare quando ascoltiamo in modo sempre più frequente il “rimpianto” per quella classe dirigente, per la sua statura culturale ed intellettuale, per la capacità politica e soprattutto per quel “profilo” che era la cifra distintiva di una classe dirigente. 

In primo luogo la classe dirigente era il frutto di un lungo e riconosciuto percorso politico, culturale, sociale. Si trattava di un personale formato e consapevole del ruolo che era chiamato a svolgere. L’improvvisazione e la superficialità non erano di casa e, tantomeno, l’ostentazione della estraneità alla politica e alle sue regole di fondo. Oggi, semplicemente, tutto ciò non esiste più. Per cui ti trovi ministri che nell’arco di pochi mesi possono tranquillamente scomparire dallo scenario politico senza lasciare alcuna traccia. 

In secondo luogo c’erano i partiti politici. Oggi esistono le aggregazioni elettorali e i cartelli elettorali. L’unico elemento che è rimasto del passato e’ la presenza delle correnti, o meglio delle bande organizzate, all’interno dei questi cartelli elettorali. Correnti che, come ovvio, prescindono da qualsiasi specificità politica se non quella di partecipare attivamente alla spartizione del potere e alla distribuzione degli incarichi. 

Ecco perché non ha alcun senso politico, culturale e storico confrontare la qualità e il profilo di quella classe dirigente e di governo con quella che viene espressa oggi. Sarebbe offensivo per i protagonisti di quella stagione e sarebbe anche ingiusto per quella contemporanea.