Il rischio della “ cittadella” accerchiata in attesa dello spread. La politica mette l’elmetto?

Il nostro percorso storico, verso cui manca ancora una serena, ma forte autocritica

Subito dopo le piogge di Ferragosto, siamo costretti a interrogarci sul grande rischio che potrebbe riguardare gli italiani sotto il versante finanziario.
Anche il mondo cattolico democratico potrebbe trovarsi costretto a fare scelte importanti, se non definitive. La speranza, ovviamente, è quella di non dover bere alcun calice amaro. Eppure, il senso del realismo dovrebbe spingere a prepararsi.
Appare chiaro che il Governo Conte si stia mettendo l’elmetto e possa correre il rischio di vivere ed operare come se l’unica soluzione fosse quella di trincerarsi nella “ cittadella” di Palazzo Chigi.

Forte è la tentazione di credere davvero che in ballo ci sia ciò che il Vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini, , con una certa iperbole, ha definito “esperimento italiano”.
Colpisce e preoccupa quanto Matteo Salvini ha dichiarato di fronte a suoi sostenitori viareggini: “Ci sarà bisogno di voi, della vostra reazione, quindi dobbiamo essere pronti”.
Il riferimento era alla situazione finanziaria ed all’arrivo di una ondata speculativa.
L’appello apre foschi scenari e, al tempo stesso, limita questa chiamata a coorte ai soli leghisti ed ai sostenitori del governo giallo verde.

Tutti , in effetti, danno per scontato un duro scontro con il mondo della finanza. Sarebbe solo questione di tempo. Purtroppo non sarà una disfida limitabile ai soli leghisti ed ai loro alleati 5 Stelle. Noi non potremo solo rimanere sugli spalti.
L’attacco dei nemici userà un’arma micidiale: lo spread.
La stessa che ha fatto sloggiare da Palazzo Chigi, dalla sera alla mattina, un personaggio coriaceo e combattivo come Silvio Berlusconi.
Non fu esattamente uno sfratto improvviso. Da mesi il suo esecutivo e Forza Italia si stavano liquefacendo. Guarda caso, con una parallela, esponenziale crescita dello spread.
Fu un logorio continuo, affaticato ed affaticante, nel corso dell’estate e dell’autunno di quel lungo anno. Poi, con il differenziale a 574 punti, tutto si consumò e la campanella di Palazzo Chigi passò in mano a Mario Monti.

Secondo alcuni, stiamo per ritrovarci in una situazione simile, in tempi stretti. Altrimenti, l’allerta di Matteo Salvini a che significato avrebbe? Come lo si giustificherebbe e lo si potrebbe interpretare?
Il Governo attuale, a partire dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e dal Ministro del Tesoro, Giovanni Tria, hanno sicuramente più elementi di noi per valutare cosa stia accadendo realmente sui mercati. Sanno meglio di noi quali sono le linee intenzionati a tradurre nella legge di stabilità e conseguenti reazioni dei mercati. Potrebbero già aver ricevuto ammonimenti, pressioni? Non lo sappiamo, ma non è impossibile immaginarlo.
Forse, anche l’appello da Genova di Sergio Mattarella all’impegno comune va oltre la tragedia del ponte Morandi.
Ci sono, in ogni caso, segnali evidenti sull’apertura del “ fronte finanziario” mentre siamo in procinto di aprire l’agenda di settembre.
Moody’s ha già minacciato la riduzione della valutazione dell’affidabilità italiana, nel caso fosse toccata la legge Fornero sulle pensioni. Battono sempre sullo stesso tasto! Eppure, sin dai tempi del governo Dini, del 1995/96, diciamo che le cose sono a posto. Loro dicono il contrario.

In ballo ci sono altre questioni ataviche: il debito pubblico, Ilva, le solite incertezze del quadro politico, come se nel resto del mondo fosse tutto rose e fiori…
Oggi, si aggiunge, dopo il crollo del ponte Morandi, la questione di Atlantia. Si, la proprietaria di Autostrade.
E’ partecipata, oltre che dai Benetton ( 30,25 % ), anche da qualcuno che vede le cose in modo diverso da come fa un comune cittadino.
Parliamo della Gic Private Limited ( 8,14%) di Singapore, ottava nella graduatoria mondiale dei fondi sovrani. Della BlackRock ( 5,12 %), uno dei più grandi fondi di investimento al mondo, con un patrimonio valutato 6 mila miliardi di dollari.
La BlackRock, lo scorso marzo, ha invitato i suoi investitori a tenersi lontani dai titoli italiani, in vista della formazione dell’attuale governo. In Italia, però, detiene il 4,8% di Telecom Italia , il 5,24% di Unicredit, il 5,7 % di Monte Paschi, il 5% di Intesa Sanpaolo. Salvini, non solo lui, penserà che ci siamo messi il nemico in casa. Sicuramente, egli rifletterà sul fatto che queste banche italiane, a presenza importante della BlackRock, sono piene di nostri titoli di stato.

BlackRock è la stessa che, dice Nino Galloni, ha messo sul tavolo nostrano una cifra spropositata di miliardi per comprare crediti deteriorati in Italia ed è attiva per l’acquisto di migliaia di beni immobili, oggi all’asta per un tozzo di pane, grazie alle ultime leggi renziane promulgate per favorire enormemente le banche a danno dei loro debitori. ( CLICCA QUI https://www.ultimaedizione.eu/2018/08/02/la-grande-speculazione-sulle-case-pignorate-intervista-leconomista-nino-galloni/62438/ ).
E’ in Atlantia anche Hsbc. Una delle banche più grandi del mondo la quale ha subito dei contraccolpi dopo il crollo del ponte di Genova. C’è anche una globalizzazione delle sciagure e dei danni che provocano.
Lo spread è già salito a 282 rispetto ai titoli della Germania e a 172, il valore più alto dal 2011, in confronto a quelli spagnoli.

Stando fermi alla situazione di oggi, solo per rinnovare i titoli in scadenza, fra pochi mesi per 280 miliardi, dovremo sborsarne 1,5 in più di interessi. Figuriamoci a cosa finiremmo per andare incontro se i nostri titoli divenissero ancora meno appetibili nel prossimo futuro.
Si tratta, allora, di decidere se questi eventuali assalitori della “ cittadella” li dobbiamo considerare anche nostri nemici, oppure solo aggressori di Lega e 5 Stelle.
Lascio appesa per aria la domanda sottintesa: ci dobbiamo mettere l’elmetto anche noi, accanto a loro?
I cattolici democratici dovrebbero pur schierarsi in una situazione tanto problematica, a causa della quale non assisteremmo ad un dramma alla greca: lo dovremmo vivere.
Vorrei provare, allora, a prendere la china dell’arduo e pericoloso monte che dobbiamo affrontare lungo un altro sentiero.
A mio avviso, la crisi del 2008 avrebbe potuta essere fronteggiata da Silvio Berlusconi e da Giulio Tremonti in un altro modo.

Invece di continuare con la negazione dell’esistenza di una grave situazione, ampiamente annunciata da parecchio tempo, sarebbe stato doveroso avvertire gli italiani.
Preferirono continuare a dire che i nostri conti erano in ordine, lo ricordiamo questo inarrestabile ritornello di allora? In quel contesto, forse sarebbe stato più saggio chiamare l’intera Italia ad assumere una responsabilità corale.
Certo, il loro prezzo da pagare sarebbe stato politico. Avrebbe significato allargare, invece che restringere gli equilibri nati con le elezioni anticipate, da poco conclusesi il 13 e 14 aprile del 2008.
Mi chiedo, così, se non sia auspicabile, ai nostri giorni, vedere Lega e 5 Stelle togliersi il loro elmetto e sollecitare l’Italia intera alla consapevolezza dell’immediato domani.
Per avere credibilità in questa direzione bisognerebbe che corressero il rischio di cambiare toni del linguaggio, ascoltare la voce degli altri, a partire dalla società civile, dalle categorie, dai sindacati. Aprirsi al confronto politico ad ampio raggio, recepire le ansie e le preoccupazioni più profonde del Paese. Anche di quello che non sbraita e non da corso alla propria rabbia sui social.

Dall’altro fronte, composto dagli astensionisti, molti sono pure tra di noi, e dalle opposizioni potrebbe giungere, almeno in parte, il segno di una disponibilità concreta, su cose e provvedimenti da adottare.
Non c’è bisogno di cambiare governi, rimescolare le carte dei ministri. Nella nostra storia abbiamo passaggi che rimandano ad antiche, ed intelligenti, astensioni o ad appoggi esterni. Una pratica in voga anche da altre parti, a fronte di situazioni speciali in forza delle quali il bene collettivo richiede uno sforzo ulteriore di intelligenza.
Noi, in effetti, abbiamo bisogno di un qualcosa in più del solo preoccuparci delle alchimie parlamentari e governative. Dobbiamo puntare ad ottenere poche, ma essenziali cose all’interno di un accordo con gli altri partner europei.
Più l’Italia sarà capace di presentarsi unita e più potrà essere in grado di raggiungere risultati utili. Per se stessa ed il complessivo quadro europeo.
Intanto, dovremmo impegnarci a dare vita sollecitamente ad un’agenzia di rating europea o, comunque, realmente indipendente. Potremmo, almeno, porre il problema, in maniera ufficiale.

Il ministro Tria, purtroppo, sulla scia di una consolidata tradizione, è già costretto a prevedere una crescita del debito italiano di 1,20% nel 2018 e 1,00-1,10%, nel 2019.
Il sole 24 Ore ci informa con toni preoccupati che tra maggio e giugno gli investitori esteri hanno scaricato sul mercato oltre 58 miliardi di euro di titoli di Stato. “ Numeri da allarme rosso, scrive il giornale economico, per un Paese come l’Italia che ha un debito pubblico di 2323 miliardi di euro che è in mano estere per una quota di circa il 30 per cento”.
In questa situazione, il modo peggiore di mettersi l’elmetto è dunque quello di dire, invece, che ci limiteremmo a non ripagare o a pagare secondo le nostre antiche dinamiche. Significherebbe invitare la cosiddetta speculazione, invece di impedirla.
Si deve puntare, così, a contrattare una co-responsabilizzazione con l’Europa sulla base di un effettivo piano di rientro del debito pubblico, fornendo solide garanzie sull’avvio di una programmazione certa nel tempo.
Vi sono anche delle aree di intervento su cui il complesso dei partiti presenti in Parlamento è in grado di impegnarsi direttamente. A partire dalla drastica riduzione di tutti i costi eccessivi causati dall’intero sistema politico istituzionale. Non si tratta di continuare a parlare solo dei vitalizi. Mi riferisco alla miriade di sprechi derivanti dalle società partecipate, dai costi delle regioni, dalla pletora di enti inutili ancora in vita, e così via.
Sembra necessario dare vita ad una moneta parallela nazionale che, secondo i calcoli di Nino Galloni, lo cito ancora una volta, ci potrebbe consentire di contare su di un margine ulteriore dell’1,5 – 3% del Pil. Nino c’è appena ritornato sopra su Scenari economici ( CLICCA QUI  per approfondire ) ricordando che nulla vieta la emissione di statonote, monete di pezzatura non standard o biglietti di Stato a sola circolazione nazionale. Si tratta di pensare a questo possibile strumento sulla base di una convinzione concordata e condivisa da parte di un popolo intero.
Il mondo dei cattolici democratici, sia pure mancando loro un partito o un movimento, non può che muoversi in una dimensione di dialogo. Con sollecitazioni e sollecitudine verso tutti. Dando per primo l’esempio della possibilità di dare vita ad una convergenza basata su di uno stato di necessità.
Questo non significa snaturamento delle posizioni di alcuno. Una volta risolti i problemi più drammatici del Paese, o almeno superati in parte, ciascuno tornerà al telaio per curare il proprio ordito e la propria trama.
Il nuovo che avanza, Aldo Moro aggiungerebbe anche l’aggettivo “ inconsueto”, chiama tutti ad originali e rinnovate responsabilità.
Immagino già che queste riflessioni potranno far sorridere per quel poco o tanto di astrattezza, e apparentemente naive, contenuta in ogni invito al confronto tra tanti litiganti, rappresentanti di forti interessi contrapposti e di coriacei sentimenti polemici.
Togliersi l’elmetto è difficile per tutti, anche se tutti, nell’intimo, vi aspirano dopo anni di lacrime e sangue.
E’ , difatti, cosa complessa. Lo confermano le tante vicende di questi giorni, comprese le contro- dichiarazioni di Matteo Renzi. Del quale, in ogni caso, deve essere valutata la capacità finale di tenuta sull’intero Pd.

Eppure, molto potrebbe congiurare a farci muovere verso una direzione “ inconsueta” e rendere il tocco “ naive” un’iniziativa politica concreta.
Provo a spiegare una parte di quel molto.
E’ difficile che 5 Stelle e Lega possano reggere da soli all’urto possente di una vera ondata speculativa, soprattutto se si dovessero vedere costretti a rivoltarsi contro l’Europa da cui non venisse l’opportuno sostegno. Non è un problema solo di voti disponibili in Parlamento, per quanto, questa, sia questione imprescindibile.
La reazione della società italiana verso ipotesi estreme potrebbe assumere forme esasperate di contrapposizione ed aprire un contesto nuovo, dagli esiti incerti. In ogni caso, pericolosi per l’intera tenuta del Paese.
Possiamo già cogliere ansia e preoccupazione nelle reazioni del mondo dell’impresa. Anche di quella con maggior collegamento con la realtà in cui opera direttamente la Lega, nell’Italia del Nord.

Questione questa ancora inespressa, ma non per ciò meno significativa, nel corso dello scontro con i trevigiani Benetton. Essi sono forti nella realtà veneta, e non solo per gli investimenti colà radicati e la forza lavoro coinvolta. Forti in Generali che richiama ai collegamenti con la “ marca del Friuli”, recentemente conquistata con il Presidente leghista, Massimiliano Fedriga.
Ai 5 Stelle, così, non dovrebbe sfuggire che Salvini, dopo una prima iniziale partecipazione ad un impeto antieuropeista, potrebbe essere costretto a tornare nel Centro destra, sapendo che l’approdo su posizioni più realistiche riuscirebbe davvero farlo assurgere alla guida di uno schieramento conservatore in cui una Lega, non più secessionista, porterebbe una cifra in più di nazionalistico moderatismo.
Nel frattempo, però, cosa potrebbe essere accaduto all’Italia? A tutti noi?
I cattolici democratici non hanno alcuna ragione per schierarsi con alcuno. Questa considerazione, ancor più valida dopo l’esito delle elezioni del 4 marzo, non è ragione sufficiente per giustificare un moderno “ né aderire, né sabotare” e, quindi, per il non volere aggiungere un’altra voce di pacatezza e ragionevolezza a quella di Sergio Mattarella e a gran parte del mondo dell’impresa e del lavoro.

Il nostro percorso storico, verso cui manca ancora una serena, ma forte autocritica, nonostante le evidenti manchevolezze ancora presenti, potrebbe averci portato in procinto di un incrocio importante, di cui dobbiamo saper leggere dinamiche e potenzialità.
Può costituire, questa lettura, una parte di riscatto per gli errori maturati, prima e durante la cosiddetta “ diaspora”, grazie al contributo che potrebbe portare ad una capacità di presenza politica, di elaborazione, di offerta al Paese di proposte condivisibili.
In una parola, lavorare per la concordia nazionale e giocare una carta significativa nel cogliere e dare spessore alla ricerca della gente, quella semplice e confusa, di una nuova dimensione della solidarietà, comunitaria, nazionale ed europea.